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La tabacchiera di don Lisander
La tabacchiera è, per Manzoni, la «scatola» della memoria letteraria attiva nella scrittura dei Promessi Sposi. È un richiamo, anche: rivolto ai lettori disposti a brividare di agnizioni nel labirinto dialogico del romanzo, fra estri sterniani e umori barocchi.
Il libro
Tutto comincia con un curato che inciampa nel malincontro. Seguono le corserelle, i saltelloni, le giravolte, i trotti, i passi brevi e circospetti, lunghi o infuriati, di quanti nell’infelicità della storia viaggiano: tragicamente e comicamente; misurandosi con le «piante insanguinate» di eroi e idoli, che hanno profanato le orme di sangue della Passione di Cristo. Falsari della Grazia e falsari di Dio, tormentati e tormentanti, perpetuano l’idolatria babelica della costruzione di una «torre» che trafora il cielo per darsi un «nome»: in un «eccesso di esistenza», che comporta la dispersione di un popolo e la confusione delle lingue; e le irresponsabilità di una letteratura, che ha smarrito il compito e il dovere della denuncia dell’«errore» e dell’«orrore».