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Opera omnia. II
«Tramandare ai posteri le azioni e il carattere degli uomini illustri è una consuetudine antica, non trascurata nemmeno ai giorni nostri [...] ma si rinnova ogni volta che un grande e nobile esempio di valore riesce a vincere e superare un vizio comune alle piccole come alle grandi città: l'invidioso rifiuto di riconoscere il bene»
Tacito
Il libro
Nel disegnare il quadro delle Historiae, gli anni da Galba a Domiziano, 69-96 d. C., Tacito si trovava nella situazione definita da Polibio (IV 2.2) come ideale per lo storico: quella di poter riferire su eventi di cui era stato spesso personalmente testimone, giovinetto nell’anno 69, l’anno «dei quattro imperatori», e piú tardi personaggio di qualche rilievo nel mondo politico durante i regni di Vespasiano, Tito e Domiziano, console nel 97, proconsole in Asia tra il 112 e il 113. Negli Annales Tacito spostava il campo della sua ricerca, risalendo agli anni tra la morte di Augusto e la fine di Nerone. Anche per questo periodo poteva talvolta eccezionalmente disporre di testimoni sopravvissuti, come risulta per esempio da III 16.1: «Ricordo di aver sentito raccontare da persone anziane…» – si tratta della vicenda di Pisone, nel 20 d. C., e Tacito, che scrive a decenni di distanza dai fatti, può riferirsi a esperienze della sua giovinezza.