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Il popolo che manca
Streghe, preti magici, levatrici, rabdomanti, ragazzini «in affitto» che vanno in Francia a raccogliere violette, o che lavorano duramente nelle saline o nelle stalle. Una vita antica , una fatica biblica. Un potente affresco dove si raccolgono e incrociano le memorie piú profonde del Mondo dei vinti e dell'Anello forte. Con l'aggiunta di nuove testimonianze inedite che ricreano un mondo andato perduto, ma che non può essere dimenticato.
Il libro
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In un inedito racconto corale Il popolo che manca presenta le testimonianze piú suggestive – dal valore letterario e antropologico insieme – della antica vita agropastorale raccolte da Nuto Revelli. Erano gli anni dell’industrializzazione accelerata e dello spopolamento di intere aree delle campagne del Nordovest e delle montagne alpine in cui si consumò un vero e proprio «genocidio culturale», come è stato definito, distruggendo in poco tempo mondi secolari, comunità, tradizioni e paesaggi. Di quel cosmo che appare cosí remoto queste voci costituiscono l’unico, flebile e struggente tramite. Nel percorso tracciato dal Popolo che manca si è scelto di riunire le memorie piú profonde (talune integralmente inedite) dell’insieme dei protagonisti dell’epopea revelliana (i contadini del Mondo dei vinti ma anche le donne dell’Anello forte), con l’intento di fissare, entro una maglia piú larga possibile, l’intera gamma delle forme (talvolta anche crudeli) della vita quotidiana del tempo: segnata da poveri sogni di esistenze dominate dalla precarietà alimentare e dalla paura, e tuttavia forte, in parallelo, di saperi e di elaborate pratiche di sopravvivenza consolidate nei secoli. Sono racconti stranianti che ricostruiscono il mondo del lavoro, la medicina popolare, il gioco d’azzardo, il regime alimentare, il parto e le pratiche matrimoniali consegnandoci, insieme, un universo di valori e convinzioni etiche popolato non meno di visioni ultraterrene, sacre e profane: disseminato, come è, di streghe, le masche, preti stregoni con i «libri del comando» e folletti dai nomi colorati (il ciulest). Nel rimescolarsi delle storie, sospesi quasi fra la terra e il cielo, i mondi naturali si animano, i morti vagano nelle notti autunnali, uomini e donne si trasformano in capre, lupi, cani. È un universo periodicamente nomade in cui folle di ragazzini valicano ogni anno il confine, per «affittarsi» nella vicina Francia: chi, le ragazzine, a raccogliere le violette per il mercato di Londra e Parigi vendute dalle romantiche fioraie di Chaplin, chi, i giovani, a lavorare nelle biancheggianti saline di Hyères, dove il contatto con la pelle brucia la pianta dei piedi e di notte, nelle baracche, si odono cantare les Italiens.
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«La Spoon River contadina di Nuto Revelli».
Corrado Stajano