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Sylvie e Bruno
Un capolavoro che rivela tecniche completamente nuove rispetto ad Alice e allo Specchio
Gilles Deleuze
Il libro
Nel terzo e ultimo romanzo di Carroll ci sono due piani narrativi e si passa da uno all’altro quasi senza accorgersene. Nel primo tutto ruota intorno all’affascinante Lady Muriel, amata da un giovane intellettuale ma fidanzata a un militare. Nel secondo si svolgono le vicende di due bambini, Sylvie e il suo fratellino Bruno, in un mondo fantastico. Sylvie e Bruno entrano nel mondo della prima narrazione e poi scompaiono improvvisamente seguiti nel loro mondo dal narratore, che forse li sta solo sognando. Questo va e vieni tra i due mondi crea situazioni di ambiguità, di suggestioni metafisiche (e metanarrative), ma anche di grande comicità. Ci sono poi gli straordinari fuochi d’artificio linguistici di Carroll: la buffa parlata infantile di Bruno, le filastrocche, i giochi di parole: tutte cose che Chiara Lagani, forte dell’esperienza fatta con I libri di Oz, risolve in maniera brillante e godibilissima per il lettore.
Bruno è certamente il personaggio chiave: la sua lingua sgrammaticata è una sorta di brodo colturale primigenio di tutte le distorsioni del linguaggio e di un significato altamente instabile che si costruisce per sovrapposizioni, attraverso gli strafalcioni e gli scivolamenti tipici delle espressioni malferme dei bambini. Chi accusa di stucchevole leziosità la sua lingua infantile in via di definizione, manca uno degli appuntamenti fondamentali del romanzo. Gli infantilismi della piccola fata sono un vero laboratorio di pensiero per Carroll, l’officina di quel farsi e disfarsi del linguaggio che ossessiona tutta la sua opera. La lingua di Bruno è fatta di continui errori: usa oo per you, welly per very, wiss per wish, comfable per comfortable. Confonde were con was, am con are, do con does. Le sue frasi sono un susseguirsi di anfibologie, doppi sensi involontari o maliziosi, ma soprattutto di ossessive e perfino angoscianti letteralizzazioni di senso. Il livello metaforico pare non reggere piú in questo strano mondo rovesciato in cui profondità e superficie convivono e tutto intorno ogni cosa non fa che disfarsi, come il castello di carte di Alice.
dalla prefazione di Chiara Lagani