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Storia di Saigyo
«Quella di Saigyo è una poesia colma di sabi, l'intraducibile sentimento della bellezza sprigionata dalla desolazione della solitudine, dallo struggimento della separazione, dello sgomento
e serenità della quiete, dalla severa austerità delle cose semplici, ma rifinite.
Forse anche per questi motivi, la sua popolarità si mantenne costante attraverso i secoli. Piú forte
ancora l'influsso che il suo stile di vita e la sua arte esercitarono su altri letterati e poeti tra cui due
dei piú eccelsi; Kenko hoshi e Basho che cercarono anch'essi come lui la via del romitaggio per
meglio esprimere il proprio universo di bellezza».
Dalla prefazione di Gian Carlo Calza
Il libro
Sato Norikiyo, nato nel 1118 a Kyoto in un’importante famiglia con ascendenti nella casata imperiale, era destinato a una carriera militare di alto livello. Ventenne, era già un ufficiale con importanti responsabilità e godeva dei favori dell’ex imperatore Toba, senonché nel 1140 pianta tutto: carriera, ricchezze, una moglie e una figlia piccola. Si fa monaco buddhista prendendo il nome religioso di Saigyo , va a vivere in una capanna, viaggia in povertà e soprattutto scrive poesie. I suoi versi, caratterizzati da partecipazione emotiva e sentimenti forti, diventano un modello etico-letterario che avrà una lunga influenza sulla cultura giapponese, prima di lui ancorata a modelli di una bellezza piú algida. Quasi subito dopo la sua morte (1190) fiorí tutta una letteratura sulla sua vita, sui suoi detti, sulle sue poesie. La Storia di Saigyo, qui per la prima volta tradotta in italiano, è il piú importante di questi racconti e nello stesso tempo una sorta di antologia della sua attività poetica.
«Giunto la sera tornò alla sua dimora: appena ne ebbe varcata la soglia, la sua bambina, di quattro anni, da lungo tempo diletta e di aspetto assai leggiadro, con i capelli sciolti tagliati all’altezza delle spalle, gli corse incontro ed esclamò: “Che gioia avervi qui, padre! Perché tornate cosí tardi? Non avevate il permesso di Sua Maestà?”, e come un tenero garofanino si aggrappò alla kariginu del padre, che, pur rapito dalla sua incomparabile grazia, meditò: “In passato rinunciai a farmi monaco proprio per questa figlia. Si dice che il re dei demoni dei sei cieli abbia escogitato i legami di mogli e figli proprio per impedire a tutte le creature di divenire Buddha e per ostacolare il sentiero della liberazione. Come potrei, pur essendone consapevole, lasciarmi sviare dall’affetto? Esso è veramente un’orda di nemici schierati di fronte a me: inizierò dunque con il troncare i vincoli delle passioni”. E allontanò con un calcio la figlia scaraventandola senza pietà giú dalla veranda».