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Storia della colonna infame
Quando Manzoni si accinge a raccontare la vicenda del processo agli untori durante la peste del 1630, prima all'interno del romanzo, poi in un testo a sé per quanto abbinato al romanzo, non poteva non confrontarsi con le riflessioni che su quell'episodio aveva scritto nel 1777 Pietro Verri, suo zio di fatto, e con il libro fondamentale sulla condanna della tortura che aveva scritto ancor prima suo nonno, Cesare Beccaria. Ma quella cinquantina d'anni che era trascorsa, e in particolare gli anni della Rivoluzione francese, avevano cambiato molte cose. All'indignazione illuministica nei confronti di leggi ingiuste e disumane, si era aggiunta una preoccupazione assai piú moderna: quella per il fanatismo delle masse innestato su fantasie complottistiche. Le teorie del complotto erano alla base del superlavoro delle ghigliottine negli anni del Terrore, ed erano state alla base delle accuse intentate ai poveri Gian Giacomo Mora e Guglielmo Piazza. Adriano Prosperi rilegge la Storia della colonna infame da questo punto di vista, portando argomenti testuali e documentali: e cosí facendo proietta questo caposaldo della nostra letteratura civile in una dimensione ancora piú drammaticamente attuale.
Il libro
Alessandro Manzoni volle che la Colonna infame viaggiasse per sempre insieme ai Promessi Sposi. L’edizione definitiva del romanzo comparve con la parola «Fine» collocata dopo l’ultima parola del testo della Colonna infame. Era un viaggiatore che portava un messaggio prezioso, per questo lo si affidava a una nave che aveva dimostrato di saper andare lontano. Abbiamo visto quale compito fosse affidato a quel testo. Bisognava che gli esseri umani si preparassero per tempo a riconoscere il pericolo della follia collettiva del sentirsi minacciati da un complotto diabolico. Era questo che si era visto nella peste di Milano come nel Terrore della Rivoluzione francese. Era necessario capire come e perché una popolazione intera potesse diventare a tal punto prigioniera della sindrome del complotto da scatenare violenze cosí atroci. E poiché nell’immediata vicinanza di quel pericolo niente poteva impedire il grande incendio in arrivo, bisognava prevenirlo lasciandosi educare dalla lettura di una ricerca storica come quella compiuta da Manzoni. Era su questo punto che Manzoni richiamava l’attenzione. Ci aveva tenuto cosí tanto da legare strettamente la storia della colonna infame al romanzo, facendone un unico testo. Per questo aveva voluto che la parola «Fine» figurasse in calce a un libro bifronte. Un caso rarissimo, forse unico nella storia del romanzo: l’unione di due “storie”, la Storia milanese del secolo XVII e la Storia della colonna infame. Era un ircocervo, una deliberata violenza ai lettori. Dal punto di vista dei generi letterari, si può dire che si trattava del matrimonio di due sposi, presentati come «promessi» fin dalla prima versione del romanzo ma uniti solo nell’edizione definitiva. Quel matrimonio s’aveva da fare, anche a forza. Fu lo Stato italiano – figlio riconoscente dell’opera e del pensiero di Alessandro Manzoni – ad assumersi l’arbitrio di scioglierlo. Le edizioni scolastiche per gli studenti italiani, numerose come la sabbia del mare, misero loro in mano il solo romanzo.
dall’introduzione di Adriano Prosperi