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Lettere
La scelta di lettere proposte in questo volume, con il fondamentale commento di Paola Moreno, prende in considerazione tutto l'arco della vita di Francesco Guicciardini, da quando era ancora studente di giurisprudenza ai primi passi nella politica fiorentina, dall'esperienza di ambasciatore in Spagna fino agli anni delle maggiori responsabilità, quando scrive a Leone X, a Clemente VII, al re di Francia Francesco I. Ma non mancano lettere che testimoniano altri aspetti della sua vita: questioni familiari con il padre, commerciali con i fratelli, cause giudiziarie (era pur sempre avvocato)... E tra gli interlocutori non manca ovviamente l'amico Machiavelli, col quale condivide alcuni momenti di guerra e non poche riflessioni di carattere politico, e a cui lo legano complicità e stima reciproca. Una vita attraverso le lettere che ci consente di attraversare con immediatezza gli anni cruciali del Rinascimento.
Il libro
Le lettere costituiscono una fonte primaria nella ricostruzione storica delle vicende italiane ed europee dal 1494, anno scelto da Guicciardini per far cominciare la sua Storia d’Italia e che segna per lui l’inizio della «tragedia d’Italia», fino al 1534, anno in cui si interrompe il racconto. Si ha testimonianza del fatto che lo storico poté portare nel suo studiolo le lettere dei Dieci di Balía; inoltre, non pochi sono i casi in cui egli attinse alla propria corrispondenza, rimodulandone formule e stile, certo, ma sempre rimanendo fedele al dato storico registrato a caldo nelle lettere. Del resto, il riuso dei propri documenti epistolari per la redazione di altri suoi scritti è una costante del suo personalissimo metodo: il carteggio funziona cosí come un “macrotesto” che conserva idee e parole continuamente riattivate e riformulate in altri generi di scrittura, un vero e proprio connettore testuale e concettuale che attraversa tutto il «laboratorio di carte» e di pensiero di Guicciardini.
Dall’Introduzione di Paola Moreno
«Io credo che voi habbiate notitia della navigatione che tiene questa Maestà nella India occidentale, che cosí la chiamono qua, dove Colombo scoperse molti anni sono piú isole, dove questi Spagnoli non tengono altro tracto che di cavare oro. E dipoi scopersono ancora terra ferma, et fate conto che ogni anno ne viene in Spagna 400 mila ducati d’oro o meglo; di che la quinta parte è del Re, l’altro di chi lo cava. Hora ci è nuove, pochi dí sono, che in quella terra ferma hanno trovato in certi luoghi vene d’oro di qualità che, se ne riuscirà pure la octava parte, sarà cosa di grandissima richeza: et questo Re dà ordine di mandarvi uno capitano con mille huomini. Et in effecto, per quello che si vede, questa fortuna sua grande, la quale lo ha accompagnato dal dí che nacque insino a hora, pare ancora piú verde et piú frescha che mai; et se la continua insino alla morte, si potrà dire arditamente che da Carlo Magno in qua non sia stato in tucta Cristianità uno tale principe».
Dalla lettera al fratello Luigi, da Valladolid il 17 giugno 1513