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Il Cunto de li Cunti
BASILE
Aspetti! è lei il mio uomo, De Simone, ma sì: il ricopiatore, il trascrittore, il rifacitore... Dico bene?
DE SIMONE
Dica pure il riscrittore, il curatore, il traduttore, se le aggrada.
BASILE
Mi aggradirà se avrà capito che il mio Cunto è innanzitutto una gran minestra maritata, un cocktail culinario in cui c'è di tutto e di più: la carne del Boccaccio, le noglie della tradizione, le verzure del Marino, le uova del Tasso, il sale della mia zucca e il pepe della lingua napolitana. Ecco, mannaggia la peste che mi fa tossire!
DE SIMONE
Non si affatichi, la prego. Conosco bene la minestra maritata, ma non mi sarei permesso una similitudine tanto irriverente.
BASILE
Sia irriverente, cavalier De Simone, e io le ricambierò l'irriverenza, come esigono le convenienze. Ma con me non faccia lo stronzo, di grazia, dal momento che anch'io lo sono stato.
Dalla Praefatio di Roberto De Simone
Il libro
Che il Cunto de li Cunti tragga la sua materia dalle fiabe popolari napoletane è ben noto; eppure Giambattista Basile su questo impianto favolistico elaborò una complessa quanto affascinante opera letteraria, connotata da un raffinato e composito linguaggio. Nel Cunto il Basile seppe fondere l’autentico dialetto napoletano e le costruzioni sintattiche del Decamerone; seppe coniugare espressioni gergali, proverbi, invettive plebee, con parodistiche metafore nel sontuoso stile barocco dei suoi tempi; seppe bilanciare in un geniale equilibrio altezze poetiche e basse scurrilità, linguaggio sublime e lazzi osceni, ciarlatanismo ed erudizione, erotismo e sentimenti, magia rinascimentale e mitologia popolare, con un orecchio rivolto al Boccaccio, agli umanisti, al Rabelais, al Marino, e l’altro ai quartieri di Forcella, di Porta Capuana, di Piazza Mercato. Rilevante nell’alchimia linguistica del Cunto è anche la componente teatrale, espressa con un sapiente dosaggio di ritmi nella narrazione, e soprattutto nei dialoghi, ma che si realizza appieno nei monologhi dei personaggi, il cui linguaggio sembra derivare dai repertori della Commedia dell’Arte. E a tale proposito, le inevitabili associazioni tra alcuni momenti narrativi del Cunto e alcuni modi e forme del teatro shakespeariano fanno ipotizzare una circolazione orale di repertori carnevaleschi, di formulari comici e drammatici, se ad essi attinsero largamente sia il Basile che Shakespeare. Roberto De Simone, nel rispetto dell’antico testo, ha semplificato la scrittura originaria, operando un’attenta eliminazione di complesse consonanti, sostituendo vocaboli oggi incomprensibili anche ai napoletani, cercando però di non alterare mai il ritmo basiliano e la sua musicalità sillabica, giungendo così a comporre un dialetto del tutto inventato, come specularmente risulta inventato quello originale del Basile. Infine, ha condotto la traduzione in italiano mantenendo sì la turgida costruzione del periodare barocco, ma, talvolta, per facilitare la scorrevolezza della lettura e agevolare la fruizione immediata dell’opera, ha provveduto a modificare la punteggiatura, riducendo l’eccessiva lunghezza dei periodi. Per quel che riguarda lo stile della scrittura, lungi dal tentare filologici compiacimenti letterari di falso antiquariato, De Simone ha impiegato l’italiano di oggi, pur riferendosi alla ricca teatralità dei modelli shakespeariani, o alla musicalità degli elenchi rabelaisiani. Del resto, è proprio il senso della teatralità del Basile, della sua ironia, delle sue allitterazioni, che De Simone ha cercato di trasporre nella sua riscrittura del testo. Le note, più relative al linguaggio e alla tradizione popolare che alle connotazioni storico-letterarie, sono di Candida De Iudicibus. Le illustrazioni, composte da cornici ricche di rimandi mitologici che custodiscono rare immagini napoletane di fine Ottocento, sono di Gennaro Vallifuoco.