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Bestiari del Medioevo
«A differenza di quanto generalmente
si creda, gli uomini del Medioevo sapevano
osservare assai bene la fauna e la
flora, ma non pensavano affatto che ciò
avesse un rapporto con il sapere, né che
potesse condurre alla verità. Quest'ultima
non rientra nel campo della fisica,
ma della metafisica: il reale è una cosa,
il vero un'altra, diversa. Allo stesso
modo, artisti e illustratori sarebbero stati
perfettamente in grado di raffigurare
gli animali in maniera realistica, eppure
iniziarono a farlo solo al termine
del Medioevo. Dal loro punto di vista,
infatti, le rappresentazioni convenzionali
- quelle che si vedono nei bestiari
miniati - erano piú importanti e veritiere
di quelle naturalistiche. Per la
cultura medievale, preciso non significa
vero. Del resto, cos'è una rappresentazione
realistica se non una forma di
rappresentazione convenzionale come
tante altre? Non è radicalmente diversa
né costituisce un progresso. Se non
si cogliesse questo aspetto, non si capirebbe
niente né dell'arte medievale né
della storia delle immagini. Nell'immagine
tutto è convenzione, compreso il
"realismo"».
Michel Pastoureau, Bestiari del Medioevo
Il libro
Gli unicorni non esistono; non moriremo inghiottiti da un ippopotamo; i serpenti non amoreggiano clandestinamente con le murene e un gatto, sia pure scorbutico, non per questo è un agente di Satana. Lo sappiamo tutti, con una certezza talmente «chiara e distinta» da considerare tutt’al piú con benevola indulgenza i testi medievali che sembrano addirittura descrivere queste assurdità sub specie scientiae. In effetti, si può fare: nulla impedisce di ammirare le splendide immagini di questo libro e di divertirsi – molto – con le stravaganti storie di animali che raccoglie. È un criterio esatto. Per l’appunto, avverte l’autore: solo che nel Medioevo esatto non coincide con vero, anzi. Il primo è un concetto superficiale, limitato, personale e di conseguenza impressionistico. Il secondo, una qualità da conquistare, sempre nascosta com’è «sotto il velame» di codici e simboli, che peraltro – grazie alla sapiente regia della Chiesa e degli intellettuali – vanno a costituire un lessico potente e condiviso, fatto di metafore narrative ma anche di colori e forme, cui la ripetizione costante garantisce, alla lunga, vasta diffusione e immediata comprensione da parte del pubblico. Non va mai dimenticato, infatti, che dietro le «favolette» si stagliano grandi figure di uomini dottissimi, profondi e innamorati conoscitori non solo dei testi sacri ma anche, per quanto possibile, dei classici greco-latini. Attraverso la loro opera, questo sapere si conserva e si propaga: istruisce i predicatori, catechizza i fedeli, tende a mitigare i costumi, ma disquisisce anche di amor cortese e, addirittura, trasposto nell’araldica, può trovarsi alla base della costruzione di interi programmi politici. C’è davvero qualcosa di ingenuo, in questo? E chissà che, chiudendo il libro, non ci scopriremo a pensare che gli unicorni non esistono solo perché non siamo addestrati a vederli.