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Artisti a Londra
Quella della scena pittorica londinese dal dopoguerra ai primi anni
Settanta è una storia che non è mai stata raccontata in modo
complessivo, eppure nella metropoli lavoravano numerosi artisti di rilievo,
alcuni dei quali nel corso del tempo sarebbero diventati celeberrimi.
Martin Gayford esplora il periodo avvalendosi soprattutto delle tante
conversazioni intrattenute in trent'anni con testimoni e protagonisti;
raccogliendo impressioni, dichiarazioni di estetica e aneddoti relativi a
molti importanti artisti, tra i quali: Francis Bacon, Lucian Freud, Frank
Auerbach, David Hockney, Bridget Riley, Gillian Ayres, Frank Bowling
e Howard Hodgkin.
In questo magistrale racconto storico-artistico, riccamente illustrato
con fotografie documentarie e opere d'arte, l'autore intreccia le diverse
sensibilità e le opere dei pittori per mostrare come e perché a Londra la
pittura, molto tempo dopo essere stata dichiarata ufficialmente morta,
non solo fosse ben viva ma prosperasse. I pittori inglesi, consapevoli
delle influenze contemporanee di Pollock o Giacometti, cosí come delle
tradizioni dell'arte occidentale da Piero della Francesca a Picasso e
Matisse, erano legati l'un l'altro dalla fiducia in questa antica pratica che,
in opposizione alla fotografia e ad altre forme espressive, dimostrava di
poter ancora produrre opere innovative e bellissime. Tutti esploravano,
in modi diversi ma con eguale passione, le potenzialità del dipingere.
Con 114 illustrazioni nel testo.
Il libro
«La maggior parte degli artisti professionisti ama dipingere e disegnare durante l’infanzia (questo era vero per Freud, per esempio, e David Hockney). A scuola Bacon non aveva mostrato alcun interesse per l’arte né, secondo i suoi compagni, per nessun’altra cosa. L’evento rivelatore che fece di lui un artista fu il fatto di entrare in contatto con dell’arte ad altissimo livello, cosa che poi lo spinse a prendere due audaci decisioni: la prima fu tentare – senza alcuna formazione precedente, né alcun segno di predisposizione – di fare tutto da solo; la seconda fu decidere che non aveva molto senso dipingere se non si puntava a farlo cosí, ad altissimo livello, allo standard di Poussin e di Picasso. Essere un buon pittore non era abbastanza. Paradossalmente fu la serietà con cui si assunse il compito di dipingere a rendere Bacon – che a uno sguardo superficiale poteva sembrare un dilettante che passava gran parte del suo tempo a bere champagne e a giocare d’azzardo – diverso da molti altri artisti britannici della sua generazione… Bacon era fermamente convinto che l’unico punto della questione fosse creare un capolavoro. Sognava di dipingere un quadro che avrebbe annichilito tutti gli altri che aveva realizzato. Il problema era che quasi nulla di quello che faceva gli sembrava abbastanza buono».