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Il Talmud e Internet
«Trovare casa nell'esilio, trovare unità nell'infinito, trovare se stessi in un mare di voci in competizione tra loro era una sfida del mondo antico ma è anche una sfida della modernità».
Un parallelo tra una pagina del Talmud e la home page di un sito Web scatena un avventuroso viaggio in mondi distanti eppure misteriosamente affini. Nato come meditazione sul dolore di un lutto familiare, che rimanda ad altre irrimediabili perdite, un piccolo vertiginoso libro che porta a ogni passo il lettore in uno scenario inaspettato.
Il libro
Il Talmud babilonese, tesoro vivente dello spirito ebraico in migliaia di pagine, comprende la Mishnah, codificazione della legge orale ebraica, e la Ghemarah, ovvero il complesso delle interpretazioni e dei commenti ispirati dalla Mishnah ai Rabbi, i maestri della dottrina e della vita. In una stessa pagina poche righe di Mishnah coesistono con il commento della Ghemarah, ed entrambe si sono sviluppate in secoli di «tradizione orale, di storie, dispute tra Rabbi… Ogni pagina del Talmud è poi «linkata», potremmo dire, con infinite altre, in un continuo rimando «ipertestuale»… Ma non funziona cosí anche Internet? Fin qui siamo tuttavia all’apparenza esteriore, per quanto sorprendente, di una analogia tra due mondi che sembrano lontanissimi: quello della Tradizione, ma anche del pensiero per eccellenza, e quello della Tecnologia. Basta una necessità del tutto personale, come il dolore per un lutto, a metterli in relazione? Uno scrittore ci prova, e quello che sembrava un gioco affascinante e un po’ arbitrario si trasforma ben presto in una inquietante caccia al tesoro. Che cos’è in fondo il Talmud per il popolo ebraico se non il tentativo di trasportare, di portare con sé, come un bagaglio appunto portatile, l’essenza del proprio mondo distrutto, trasformata in parola, in rete di parole? Che cos’è allora la Rete, questa connessione pervasiva, avvolgente e globale, eppure portatile, che non a caso si realizza in un mondo dove prevalgono il frammento e l’apparente distruzione di un senso generale delle cose? Infine: che cosa c’è di piú comune a ogni essere umano, se non l’esperienza di una perdita?
In un contrappunto di citazioni talmudiche e di frammenti di letture, di Flavio Giuseppe e Milton, Donne, Adams e Proust, una meditazione indispensabile e rigorosa sul senso stesso di ciò che si oppone alla perdita, su ciò che oggi si può ancora chiamare cultura.