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I nomi di Cristo
Il libro
Il genere del dialogo platonico ha avuto, in tutto il Rinascimento europeo, la più grande fortuna. E anche De Leon, che oltretutto di Platone è un acceso ammiratore, scrive “I nomi di Cristo” in forma di dialogo, con tre personaggi che conversano in un ‘locus amoenus’ tanto letterario quanto realistico (è il podere che il convento agostiniano di Salamanca possedeva fuori città, descritto come un angolo di pace tra gli alberi, un fiume, una sorgente). I tre dialoganti, un insegnante di teologia (trasparente proiezione dell’autore) e due allievi, ripercorrono i fondamenti religiosi e morali della dottrina cattolica sulla falsariga dei nomi che le sacre scritture hanno via via associato alla figura del Cristo: pastore, agnello, sposo, re, eccetera.Su questa struttura di base la prosa di De Leon, già definita da Menéndez Pelayo “la più bella del Cinquecento”, aggiunge, divaga, racconta, trasformando quello che poteva essere solo un dotto trattato di teologia in un affascinante gioco letterario di gusto umanistico. Descrizioni della natura, sortite liriche (i tre, ogni tanto, recitano poesie di un quarto personaggi assenti, che sono ovviamente dello stesso De Leon), episodi narrativi, riferimenti ai classici e alla letteratura spagnola coeva si intrecciano al filo logico-teologico, gli conferiscono eleganza e concretezza reale, ne fanno in molti casi una commossa metafora del vissuto. Questa di Mario Di Pinto è la prima traduzione italiana dei “Nomi di Cristo”.