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Martin Amis 1949-2023
di Andrea Canobbio
Nel suo ricordo di Martin Amis, apparso sul «New Yorker», Salman Rushdie ha citato una frase dell’amico scomparso, che sosteneva spesso di voler lasciare dietro di sé uno scaffale di libri, in modo da poter dire: “Da qui a qui, sono io”. L’immagine mallarmeana di un mondo (in questo caso una vita) che esiste per approdare a un libro risaliva, secondo Jorge Luis Borges, alla pagina dell’Odissea in cui “gli dèi tessono le disgrazie umane affinché alle future generazioni non manchi la materia del canto”. Borges, il cui “genio – diceva Amis – mi lascia senza parole” (una condizione difficile da immaginare per uno come lui che sembrava possedere sempre parole in abbondanza), non nasconde che quella omerica possa intendersi come una giustificazione estetica del male. È certo che al male in ogni sua declinazione Amis ha dedicato pagine indimenticabili per potenza di stile e ricchezza di linguaggio, guardando Medusa dritto negli occhi. Dal male assoluto del nazismo nella Zona d’interesse e La freccia del tempo, al male non meno assoluto dello stalinismo nella Casa degli incontri e in Koba il Terribile; dal male più circoscritto ma devastante di Lionel Asbo, un piccolo delinquente inglese divenuto celebrity, al male della volgarità della moderna società occidentale, non solo inglese, in Money e in molti altri suoi romanzi. Resta aperta la questione se questo mondo tragico e disgraziato trovi una qualche forma di redenzione in pagine di tanta forza e bellezza.
Oggi lo scaffale, e quindi l’autore, si completano con la traduzione italiana del suo ultimo libro, La storia da dentro, un testo che riprende il discorso iniziato con la sua autobiografia, Esperienza, ma che ne richiama anche altri meno direttamente autobiografici (anche se molto autobiografici) come La vedova incinta, il cui sottotitolo era appunto Dentro la Storia. La Storia dei grandi eventi e la storia individuale dei piccoli uomini non sono divise dallo spazio siderale che spesso immaginiamo: a unirle c’è la letteratura, che trasforma incessantemente l’una nell’altra; ci sono i libri in cui entrambe vanno inesorabilmente a finire.
Andrea Canobbio