Giulio Einaudi editore

Intervista a Saito Kohei Il capitale nell’Antropocene

«Dobbiamo sfidare il capitalismo e se vogliamo farlo, penso che Karl Marx sia ancora molto importante»

Saito Kohei è un filosofo giapponese, nato nel 1987. Nel 2020 ha pubblicato Il capitale nell’Antropocene, contribuendo con più di 500.000 copie vendute solo in Giappone a una nuova ondata globale di interesse nei confronti del pensiero di Karl Marx, al centro del libro. Saito è infatti un profondo conoscitore dell’opera di Marx e, grazie al lavoro con il Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA) – la più vasta collezione al mondo di scritti dei due filosofi –, si è proposto ne Il capitale nell’Antropocene di aggiornare la conoscenza del pensiero marxiano, specie per quanto riguarda l’ecologia. Saito ha elaborato un’innovativa teoria, basata in parte su scritti inediti di Marx: il comunismo di decrescita. Si tratta di una strada per superare il capitalismo, che il filosofo giapponese considera incompatibile con la lotta alla crisi climatica e in generale con il benessere dell’umanità.
Ne abbiamo parlato con Saito Kohei lo scorso 8 ottobre a Roma:

Nell'introduzione a Il capitale nell’antropocene lei scrive: «Nell’epoca della crisi climatica, il mio auspicio è che questo libro possa liberare una forza immaginifica capace di costruire una società migliore». Questa affermazione fa venire in mente la famosa frase che Fredric Jameson scrisse nel 1994 in The seeds of time, e in particolare nella sua coda, spesso trascurata nelle successive incarnazioni della frase: «Sembra che per noi oggi sia più facile immaginare la devastazione totale della Terra e della natura che il collasso del tardo capitalismo; forse ciò è dovuto a una qualche debolezza della nostra immaginazione». Stiamo affrontando non solo una crisi climatica, ma anche una continua crisi della nostra immaginazione? E se sì, come sono collegate le due crisi?

Fredric Jameson è recentemente scomparso, ma rimane una figura fondamentale per quanto ha scritto sull'importanza del pensiero utopico. E certamente il mio libro è influenzato dall’idea dell'importanza dell'utopia, perché negli ultimi trent'anni o più, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, anche le persone di sinistra hanno smesso di criticare il capitalismo e parlano invece di disuguaglianza. Penso per esempio a Thomas Piketty: parla di ecologia, di disuguaglianza e così via, ma non parla veramente di superare il capitalismo, anche se di recente ha cambiato un po' la sua posizione. Il punto è che, se il problema di oggi è così grande - e collasso climatico e crisi planetaria sono decisamente un grosso problema -, non possiamo semplicemente risolverlo imponendo qualche tassa in più, magari una tassa sul reddito dei ricchi. Penso sia necessario andare più in profondità. Che arrivino da sinistra o da destra, da conservatori o da progressisti, le rivendicazioni politiche stanno semplicemente convergendo. Questa è la situazione in tutti i paesi europei. E quindi ci siamo trovati di fronte all’ascesa dei populisti di destra, che sono riusciti a distinguersi dalle altre forze politiche e hanno mobilitato le persone in un modo piuttosto problematico (nazionalismo, anti-immigrazione e così via), ma sono riusciti a guadagnare visibilità e ad attrarre consensi, grazie a una generale insoddisfazione nei confronti del sistema attuale: lavoro, disuguaglianza, ecologia, tutto. Quindi sono in molti in realtà a riconoscere che c'è qualcosa che non va in questo mondo, ma il problema, specialmente a sinistra, è che la politica non è in grado di offrire alcuna alternativa. Il punto non è che non ci siano politiche concrete, che certamente non ci sono, ma che ci manchi anche solo l'immaginazione per proporre qualcosa di radicale, ed è per questo che ho iniziato a scrivere questo libro. Penso che in termini di finanziarizzazione, di tecno-feudalesimo, di cambiamento climatico, la sinistra semplicemente non stia offrendo alternative, e questa situazione deve cambiare. Ciò che ho cercato di fare è fondamentalmente questo: dobbiamo sfidare il capitalismo e se vogliamo farlo, penso che Karl Marx sia ancora molto importante. Penso che uno dei motivi per cui abbiamo smesso di parlare di post-capitalismo sia che non leggiamo più Marx, quindi sono tornato a Marx. Ho cercato di mettere in relazione le sue idee con l'ecologia, e il comunismo della decrescita di cui parlo nel libro è il risultato di questo lavoro. Penso che Il capitalismo nell’antropocene abbia avuto un grande successo in Giappone perché anche lì le persone sono alla ricerca di alternative. Ovviamente trovare il modo di implementare l’idea del comunismo della decrescita è una questione complessa, ma riconoscere la necessità dell'utopia nel senso in cui ne parla Fredric Jameson è un primo passo nella direzione giusta.

Il problema è che alcune persone – o il capitalismo, se preferite – sostengono che possiamo risolvere la crisi climatica con la tecnologia e quindi la tecnologia sarebbe una condizione sufficiente per risolvere il problema. Non sono d'accordo Saito Kohei

Parlando di immaginazione, viene in mente il famoso slogan di Herbert Marcuse degli anni Sessanta, «Potere all'immaginazione». Ne L'uomo a una dimensione (1964), Marcuse descrive la società del suo tempo come un «universo tecnologico» e allo stesso tempo come «un universo politico, l'ultima fase della realizzazione di un progetto storico specifico, vale a dire l'esperienza, la trasformazione e l'organizzazione della natura come un mero oggetto di dominio». Marcuse continua: «La produttività e il potenziale di sviluppo di questo sistema stabilizzano la società e limitano il progresso tecnico mantenendolo nel quadro del dominio». D'altra parte, lei scrive ne Il capitale nell’antropocene che «Non c’è bisogno di rifiutare scienza e tecnologia» e che è necessario abbandonare «un’economia centrata su tecnologie chiuse che facilitano il controllo dei lavoratori e dei consumatori». Questo è un punto centrale della sua riflessione, che non implica affatto un ritorno a un passato pretecnologico. Può spiegare come nel comunismo della decrescita la tecnologia non sarà più uno strumento di dominio sulla natura e sulla società?

La decrescita è spesso fraintesa come un “ritorno alla natura” con le nostre vecchie tecnologie e così via. Questo è semplicemente molto poco attraente, da un lato, e dall'altro non è sufficiente per combattere il cambiamento climatico, perché siamo di fronte a una crisi enorme e abbiamo bisogno della tecnologia per combatterla. È molto semplice e chiaro. Non sono contrario all'introduzione delle energie rinnovabili, per esempio. Abbiamo bisogno di veicoli elettrici per decarbonizzare l'economia. È scientifico, in realtà non è nemmeno scientifico, è solo buon senso. Ma il problema è che alcune persone – o il capitalismo, se preferite – sostengono che possiamo risolvere la crisi climatica con la tecnologia e quindi la tecnologia sarebbe una condizione sufficiente per risolvere il problema. Non sono d'accordo. Il capitalismo, ad esempio, produrrà veicoli elettrici più numerosi e grandi a scopo di profitto, e richiederà più pannelli solari e turbine eoliche. Questo è un modo semplicemente insufficiente per combattere il cambiamento climatico. Sembra attraente per le persone nell'UE o in Giappone perché vogliamo vivere come facciamo oggi anche in futuro, ma il problema è che questo tipo di massiccia produzione e consumo nel nord del mondo, per il bene della crescita, rafforzerà l'imperialismo ecologico coloniale - e quindi il dominio - sulle persone e sull'ambiente nel sud del mondo. Penso quindi che dobbiamo adottare un modo di vivere molto diverso, che chiamo decrescita.

In termini concreti, abbiamo bisogno di veicoli elettrici, ma allo stesso tempo dobbiamo pensare a ridurre il numero di automobili reinvestendo di più nel trasporto pubblico o preparando la strada per muoverci in bicicletta o con tecnologie simili. Dobbiamo anche avere una relazione diversa con le altre persone, con la natura e con le comunità. Penso che la bicicletta sia un ottimo esempio di tecnologia, perché il problema è che con i veicoli elettrici, pur riducendo l'impatto ambientale, non possiamo ottenere una vera autonomia. Non possiamo ripararli da soli, sono così costosi che abbiamo bisogno di prestiti per comprarli, creano ingorghi stradali e sono piuttosto pericolosi, tanto che continuano a causare incidenti mortali, e quindi alla fine sono sì una sorta di miglioramento rispetto alle automobili precedenti, ma hanno ancora molti problemi. La bicicletta, invece, è low-tech, esiste da più di duecento anni, puoi ripararla da solo, è superecologica, non è costosa e non uccide persone. Possiamo quindi reimmaginare la bicicletta come una tecnologia conviviale nel senso usato da Ivan Illich. Io chiamo questo tipo di tecnologia aperta, in opposizione alla tecnologia chiusa preferita dal capitalismo, che chiude tutte le informazioni, isola dalle altre persone e ci aliena dalla natura.

Penso che sia necessario recuperare una sorta di utopia tecnologica, ma non nel senso in cui immaginiamo la geoingegneria, la fusione nucleare e tutte le tecnologie “da sogno”; adattando invece una prospettiva di decrescita, possiamo innovare e sperimentare nuove tecnologie, che potrebbero essere molto sostenibili, buone per le comunità locali, per la salute e per l'intero pianeta. Questo è ciò che voglio sostenere attraverso il comunismo della decrescita. Ma lasciatemi sottolineare che non si tratta di una negazione della tecnologia, di un ritorno a una sorta di comunità primitiva dell'età della pietra.

Un altro punto importante del comunismo della decrescita è l'attenzione al mondo del lavoro come cuore della trasformazione della società. Nella misura in cui lei sottolinea che «chiunque cerchi di creare una società completamente diversa da quella attuale, e voglia affrontare il capitalismo, può puntare solo nella direzione del comunismo della decrescita», viene spontaneo pensare al fenomeno noto come “grandi dimissioni”. La sociologa Francesca Coin scrive in un saggio intitolato proprio Le grandi dimissioni che «il Collettivo di Fabbrica Gkn, il gruppo di lavoratori della fabbrica di semiassi di Campi Bisenzio, ha saputo trasformare l'annuncio di licenziamento da parte del fondo di investimento britannico Melrose in un laboratorio di discussione teorica e politica sulla necessita di convertire la produzione e di immaginare una fabbrica socialmente integrata a basso impatto ambientale, in grado di proteggere l’occupazione e i diritti acquisiti nel tempo, e nella quale gli operai siano coinvolti nel processo decisionale. Nonostante mille avversità e l’incuria da parte delle istituzioni, questo tipo di discussione ha aperto una breccia nell’immaginario collettivo, mostrando come il futuro debba muovere nella direzione di una produzione sostenibile che abbia come suo primo scopo la riproduzione e la cura dell’ambiente e della popolazione. In assenza di una conversazione di questo tipo, è inutile sorprendersi se le persone si disaffezionano al lavoro». Quanto questi fenomeni sono importanti per spingere le società verso il comunismo della decrescita?

Il fenomeno delle “grandi dimissioni”, iniziato durante la pandemia, da un lato ha chiarito che molti lavori di oggi sono inutili e che non vale la pena rischiare la vita per essi. Dall’altro, in quel periodo molte persone si sono rese conto in maniera più urgente che la vita a un certo punto finisce. Ci sono altre cose che in realtà vorremmo fare se sapessimo di dover morire domani. Vogliamo morire facendo qualche lavoro insulso o facendo qualcosa di significativo per la nostra vita? Penso che questa sia una domanda molto importante. Il problema è che con il capitalismo non si può davvero decidere cosa fare della nostra vita perché gli obiettivi assoluti dell'intera società sono il profitto e la crescita e quindi in cosa consiste una buona vita è determinato quasi aprioristicamente: fare soldi, lavorare per un'azienda, risparmiare per accumulare capitale, e così via. In una vera democrazia dovremmo essere in grado di riflettere e decidere insieme cosa conta per noi come collettività e per noi stessi. Ma il capitalismo rende semplicemente impossibile una simile riflessione. Quindi penso che per raggiungere una società veramente democratica sia indispensabile superare il capitalismo. Molti pensano che il socialismo sia incompatibile con la democrazia, ma io dico che il capitalismo è incompatibile con la democrazia e con una buona vita, e il comunismo e il socialismo sono le condizioni necessarie per realizzare una buona vita, la democrazia e l'autonomia. Penso che le persone ora stiano iniziando a riconoscere questo tipo di cose. Ma le “grandi dimissioni” sono solo un’espressione del rifiuto del modo di vivere attuale. Abbiamo bisogno di qualcosa di più positivo se vogliamo costruire una nuova società e spero che l’idea del comunismo della decrescita descriva la società futura in termini più positivi per le persone che hanno lasciato il loro lavoro.

 

Sally Rooney, la romanziera irlandese letta da milioni di giovani e meno giovani in tutto il mondo, ha detto che leggere Il capitale nell’antropocene l’ha aiutata tantissimo mentre scriveva il suo nuovo romanzo, Intermezzo, attualmente in cima alle classifiche dei bestseller americani e britannici. Il capitale nell’antropocene stesso ha venduto centinaia di migliaia di copie in Giappone, specialmente tra i giovani. I giovani lettori salveranno il mondo?

In realtà è responsabilità della vecchia generazione risolvere il disastro che ha creato. Quindi è un po' ingiusto dire che i giovani devono cambiare questa società, proprio nel momento in cui Greta Thunberg ci sta avvertendo delle conseguenze del cambiamento climatico e la Generazione Z negli Stati Uniti sta combattendo contro l'ingiustizia razziale, e così via. Il problema è nostro. Tornare a Marx è una strategia con due effetti: da un lato, ovviamente, è un modo per offrire ai giovani lettori una nuova idea di post-capitalismo. Non lo conoscono. Non hanno mai letto Marx. Non sanno niente del comunismo. Quindi forse hanno davvero bisogno di qualcosa di concreto per immaginare un post-capitalismo, perché conoscono solo il capitalismo. Ma d'altra parte, penso che usare Marx sia anche utile per convincere le persone più anziane, che hanno creato questa crisi, a imparare che il loro vecchio marxismo e il loro vecchio socialismo sono oggi totalmente sbagliati e vanno aggiornati; i sindacati, i politici e le persone di sinistra devono tutti imparare le implicazioni della questione ecologica, perché spesso si preoccupano solo della classe operaia. Ma l'ecologia è molto importante così come sono molto importanti la cura delle persone, i diritti riproduttivi, la decolonizzazione e la decrescita. Il comunismo della decrescita è un ottimo modo per pensare alla cura degli altri, alla natura e alla decolonizzazione. È un’idea onnicomprensiva che spero venga accettata non solo dai giovani, che soffrono di più per la precarietà e per la distruzione ambientale, ma anche dalle generazioni precedenti, in modo che le persone di tutte le età possano in qualche modo collaborare e costruire un’alleanza davvero ampia contro il capitalismo.

L'autografo di Saito Kohei
Il libro
  • Saito Kohei

    Il capitale nell’Antropocene

    2024
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