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Ernesto Franco 1956-2024
Un destino straziante e beffardo ha fatto sì che Ernesto Franco se ne sia andato per la stessa malattia che si era portata via, sette anni fa, la moglie Irene, anche lei cara a molti autori einaudiani e a tutti i colleghi della casa editrice.
Quello di Ernesto è stato un ciclo editoriale lungo e felice. Entrato in Einaudi nel 1991 come editor della saggistica, per poi andare a dirigere le collane letterarie, dal 1998 ha assunto il ruolo di direttore editoriale e, negli ultimi anni, anche quello di direttore generale. È stato il direttore editoriale di più lungo corso di tutta la storia dell’Einaudi.
Gli anni della sua direzione sono stati anni di grande crescita, e proprio per questo particolarmente delicati. Il suo sapiente equilibrio di timoniere ha permesso alla casa editrice di diventare il secondo marchio editoriale italiano, espandendo l’Einaudi in territori in cui non si era mai avventurata, ma senza mai dimenticare la sua storia e la sua tradizione. Con lui l’Einaudi ha rafforzato la proposta nella letteratura straniera di qualità, con dieci premi Nobel in vent’anni, e ha rinnovato profondamente il panorama della narrativa italiana, con sei premi Strega vinti negli ultimi quindici anni; mantenendo contemporaneamente una percentuale di saggistica di studio e approfondimento molto alta, cosa ormai del tutto inusuale tra le maggiori case editrici. Ernesto ha sposato con entusiasmo le nuove avventure editoriali di Stile Libero, e ha varato personalmente nuove collane, da «Einaudi contemporanea» alle «Vele», fino ai recenti nuovi «Struzzi»; ha voluto e sostenuto «Grandi Opere» innovative, fra cui i cinque volumi de Il romanzo, l’Atlante della letteratura italiana e la nuova edizione della Bibbia.
Ma in realtà, prima ancora che nei sempre accorti indirizzi editoriali, i suoi meriti maggiori stanno in un altro ambito: e cioè nell’aver saputo creare un clima di grande armonia nella redazione. Con la sua autorità naturale, con la sua amicizia, con la capacità di ascolto e di valutare i talenti piccoli o grandi di tutti, con l’allegria e l’ironia nei momenti giusti. E quel che vale per i rapporti interni vale anche con gli autori e i collaboratori, con cui ha sempre mantenuto un vivacissimo sodalizio intellettuale e umano formatosi e durato nel tempo.
Il tratto immediato era la sua capacità di stare al gioco e di rilanciare, sia che si trattasse di facezie sia che si trattasse di parlare di Benjamin o di una poesia di Mandel’stam. Sempre con un commento non ovvio, sempre con un tocco personale di interpretazione. Naturalmente aveva il suo bagaglio di competenze forti: la letteratura spagnola e ispano-americana, aveva il “suo” Cortázar e il “suo” Octavio Paz, e Borges e Arlt e Onetti e Ernesto Sabato ecc. E il Chisciotte, che sognava di avere il tempo di ritradurre, ma non l’ha avuto.
Forse proprio dalla narrativa sudamericana, oltre che da Calvino e dall'amico Del Giudice, derivava la sua vena di scrittore. Tre libri come Isolario, Vite senza fine e Storie fantastiche di isole vere rappresentano la sua idea di letteratura, a metà tra fantasia e malinconia, capace di sfiorare gli enigmi della vita ma anche di toccare il cuore del lettore. Pensiero e sentimento. Un binomio che ben rappresenta la sua figura intellettuale, quella professionale e quella dell’amico.