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Ernesto Ferrero 1938-2023
di Mauro Bersani
Che facesse il dirigente editoriale, il critico letterario, lo scrittore, il traduttore o l’organizzatore culturale non cambiava la sostanza delle cose: Ernesto Ferrero aveva un suo quid, una sua personalità che attraversava i ruoli rimanendo sempre ben riconoscibile, inconfondibile. Gli «ingredienti» erano la gentilezza e l’eleganza combinate però (a dispetto dei pregiudizi sui torinesi) con la franchezza e la nettezza dei giudizi e delle posizioni; la prontezza dell’intelligenza con la disponibilità e la capacità di ascolto; il garbo e l’ironia anche nelle situazioni di stress.
Nella sua attività editoriale, dal 1963 al 1989 all’Einaudi, poi alla Bollati Boringhieri, alla Garzanti e alla Mondadori, ha sempre messo a proprio agio autori, colleghi e collaboratori cercando, secondo un’idea fissa del suo mentore Giulio Bollati, la «felicità» delle persone. E questo ne ha fatto una delle figure più amate dal mondo letterario italiano. Dagli infiniti incontri di questa lunga esperienza professionale restano appassionate memorie e indimenticabili ritratti in due libri, per l’appunto, molto felici: I migliori anni della nostra vita (Feltrinelli 2005) e Album di famiglia (Einaudi 2022). La sua capacità di cogliere un modo di camminare, una parlata, un tic e di proiettarlo in un carattere, e di connettere il carattere ai pensieri e agli scritti dei suoi personaggi disegnati dal vero ne fa il nostro Sainte-Beuve.
Anche il suo acume critico, esercitato su autori come Gadda, Primo Levi e Italo Calvino, risulta corroborato dalla conoscenza diretta, dalla testimonianza, dalla capacità di racchiudere in icastiche formule descrittive/interpretative il nocciolo stilistico e umano degli scrittori più amati. Esempio eccellente ne è il recentissimo Italo, che rimarrà purtroppo il suo ultimo libro.
Come scrittore in proprio prendeva spunto dalla storia ma costruiva i suoi protagonisti con lo stesso calore letterario dei personaggi di finzione: dal Napoleone di N. al grande truffatore Edgar Laplante dell’Anno dell’Indiano (nato Cervo bianco), dal Salgari di Disegnare il vento al san Francesco di Francesco e il Sultano. Tutte parabole esistenziali straordinarie in affreschi d’epoca precisi e suggestivi.
Come direttore del Salone del libro dal 1998 al 2016 rimarrà nella storia di questo evento come sapiente organizzatore, ma verrà ricordato anche per la capacità di presenziare a tutti gli incontri più importanti e di pronunciare sempre le parole più appropriate per introdurli. Sembrava possedere soprannaturali doti di ubiquità perché avresti giurato di averlo sentito parlare un attimo prima a una tavola rotonda e già stava presentando un premio Nobel in un altro padiglione. Tanti discorsi che non avevano mai il peso dell’ufficialità e della retorica. Per lui che aveva studiato i gerghi del Quattrocento e che aveva tradotto Céline, la lingua parlata, immediata, creativa era il miglior antidoto contro qualsiasi enfasi e ben rappresentava il suo animo più profondo.