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Diego De Silva «Certi bambini»
«Mai chiedere l’età a un romanzo»
Ancora oggi, quando mi capita di riaprire il libro in un punto qualsiasi, quella tenerezza la sento ancora. E forse è questo il motivo per cui, malgrado abbia quasi diciott’anni, Rosario continua a sembrarmi piccolo.
Come si calcolano gli anni di un romanzo? Corrispondono ai nostri o – p. es. – per un’opera narrativa si potrebbe applicare il rapporto uomo-cane, che moltiplica per sette ogni anno canino, sì che un romanzo che ha, metti, dieci anni di vita, se ne ritroverebbe sul groppone settanta reali? Se così fosse, non saprei dire se la prospettiva dovrebbe entusiasmarmi o deprimermi, visto che Certi Bambini ha quasi diciott’anni e dunque dovrebbe dotarsi come minimo di un paio di stampelle. Considerato però che il libro è ancora fra noi, che il mio editore l’ha appena ristampato (con una copertina nuova, oltretutto: una bellissima foto scattata per l’occasione dal mio vecchio amico Mario Spada detto Spadino, che è stato anche il fotografo di scena del film tratto dal romanzo), direi che il mio Rosario (il nome del protagonista, per chi non l’avesse letto) si porta proprio bene i suoi anni.
Ricordo esattamente la mattina in cui, in un’aula di udienza penale del tribunale che frequentavo da praticante agli inizi degli anni ‘90, questo bambino molto poco immaginario mi s’incistò nella testa, dettandomi nei mesi seguenti la sua storia. La camorra, all’epoca, non aveva ancora cominciato ad arruolare i minori (almeno, non sulla larga scala che conosciamo oggi), sicché imbattermi in un processo che vedeva coinvolto un undicenne in un’esecuzione criminale mi fece l’effetto di una scoperta, il sospetto di aver colto un passaggio epocale, una sorta di disgraziata avanguardia che negli anni seguenti – come poi è puntualmente avvenuto: non certo per mia capacità profetica ma perché era criminologicamente ovvio che così fosse – sarebbe diventata una regolare strategia di reclutamento di risorse (non solo umane, ma) bambine, particolarmente appetibili dalle mafie perché dotate della prerogativa della non punibilità.
Il primo titolo del romanzo (che inizialmente scrissi in forma di racconto) era Le istruzioni di Rosario. L’idea era di raccontare un bambino programmabile come un elettrodomestico (pensavo infatti a una lavatrice), una sorta di piccolo automa a cui impostare il programma e ordinare l’esecuzione del compito. Un bambino, perciò, che non avesse alcun senso etico delle proprie azioni, che si limitasse a ricevere un addestramento e ubbidire a un comando. Realizzare questa suggestione narrativa dipendeva essenzialmente dalla lingua che avrei scelto. Avrei dovuto parlare come lui, guardare le cose con i suoi occhi, descrivere la sua compassatezza davanti all’inguardabile, la sua ferocia improvvisa figlia dell’istinto di sopravvivenza e i suoi accessi di dolcezza, senza alcuna tentazione moralistica, alcun giudizio, quasi senza partecipazione.
Per quella via, però – me ne sono accorto fin dalle prime pagine, – Rosario acquistava una tenerezza, un candore che non avevo sospettato, quasi che il bambino negato dalla narrazione asciutta che avevo scelto finisse per riemergere a ogni pagina, rivendicando sottovoce la sua innocenza.
Ancora oggi, quando mi capita di riaprire il libro in un punto qualsiasi, quella tenerezza la sento ancora. E forse è questo il motivo per cui, malgrado abbia quasi diciott’anni, Rosario continua a sembrarmi piccolo.
Diego De Silva
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Certi bambini è uscito nel 2001. Ha vinto il Premio Selezione Campiello, il Brancati, il Fiesole, il Bergamo, ed è stato finalista al Viareggio. Nel 2004 i fratelli Frazzi ne hanno tratto un film che ha vinto l’oscar europeo e due David. Questa è la sua sedicesima edizione.
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2021Una mattina, in una città mai nominata ma perfettamente riconoscibile, Rosario, un bambino di undici anni, si alza, prepara la colazione alla nonna, si affaccia alla finestra e guarda vivere i suoi vicini. Poi prende la borsa degli allenamenti, si veste da calciatore ed esce...