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Carlo Carena 1° novembre 1925 - 22 novembre 2023
di Mauro Bersani
Aveva compiuto da pochi giorni 98 anni. È uscito per la solita passeggiata mattutina e al ritorno ha avuto un attacco di cuore dall’esito rapido. Si è conclusa così, nella maniera meno traumatica, la lunga e operosa vita di Carlo Carena, a dieci anni più o meno esatti dalla scomparsa del suo grande amico e conterraneo Roberto Cerati. Lui di Borgomanero, Cerati di Cressa, a pochi chilometri di distanza. Due novaresi che hanno fatto la storia dell’Einaudi.
Quando ancora Carena insegnava al liceo Rosmini di Domodossola, Cerati gli affidò la sua prima traduzione, Le tragedie di Eschilo. Siamo nel 1956 e il «Millennio» doveva uscire per Natale. Cerati faceva il corriere tra Torino e Domodossola per recuperare in tempo reale le ultime parti delle traduzioni appena sfornate consegnando le bozze di quelle precedenti. Carena non era contento di quella sua prima traduzione e giurò che non avrebbe mai più tradotto con ritmi così incalzanti. Per Einaudi ne ha fatte poi almeno una trentina, dal greco, dal latino e dal francese, tutte ben ponderate e nei tempi giusti. E parliamo di opere capitali come tutte Le poesie di Orazio, le Vite parallele di Plutarco, Le confessioni di Agostino, gli Adagia di Erasmo, i Pensieri di Pascal. L’ultimo lavoro ha riguardato una scelta dai Moralia di Plutarco intitolata L’arte della politica: ha spedito le ultime correzioni sulle bozze pochi giorni prima di morire. Ancora una volta ha consegnato nei tempi…
Oltre al lavoro di traduttore e curatore di testi classici, Carena ha lavorato come interno della casa editrice dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta, come responsabile dei classici, come segretario generale e come direttore editoriale. Sotto la sua spinta i «Millenni» sono diventati una collana di riferimento per la letteratura greca e latina, proponendo nuove edizioni degli autori più famosi ma anche, per la prima volta, opere mai pubblicate prima interamente come l’Antologia Palatina in quattro volumi, la Storia naturale di Plinio in cinque volumi e L’arte dell’agricoltura di Columella.
La sua predilezione era per una letteratura “morale”, cioè di pensiero, con un forte contenuto etico ma senza pesantezze filosofiche. Meglio ancora se scritta con uno stile elegante e non enfatico. Per questo è tornato continuamente su Plutarco e su Erasmo, che per il suo gusto concentravano tutte le migliori qualità letterarie. Eleganza, cordialità, ironia e bontà d’animo, che lui cercava negli scrittori, erano anche le sue fondamentali qualità umane. Tutti coloro che passavano a trovarlo nella sua splendida casa sopra il Lago d’Orta potevano godere dell’amabile conversazione sua e della sua amatissima Luciana in cui, a differenza di tanti altri salotti intellettuali, non albergava mai la malignità verso gli assenti. E tutti coloro che leggevano le sue recensioni nelle pagine domenicali del «Sole 24 Ore» potevano apprezzarne la chiarezza, l’arguzia, la capacità di rendere vive le discussioni dei classici senza mai forzature attualizzanti.
Mens sana in corpore sano era un motto perfettamente incarnato in lui. Fino a qualche anno fa tagliava ancora personalmente la legna del suo bosco e fino all’ultimo, come si è detto, faceva una passeggiata tutte le mattine. Gli piaceva fondere in una sola persona l’intellettuale e l’uomo di campagna. L’amico interlocutore di Contini e Isella e il sodale dei contadini cusiani. Anche questo ne fa una figura indimenticabile e forse irripetibile.