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L’aria di un crimine
«Nella letteratura di Benet non è questione di afferrare o seguire una storia terrificante e magnifica, ma di leggere, e di fare una pausa e meravigliarsi, e di continuare a leggere».
Javier Marías
Il libro
Un cadavere viene trovato accanto a una fontana nella piazza del paese. Nessuno l’ha visto da vivo, nessuno sa chi sia. L’indagine sembra senza speranza, anche perché la gente di Región è abituata a parlare pochissimo e a compiere nel silenzio le proprie vendette. Una carrellata di personaggi memorabili, una lingua affascinante, da far girare la testa. Nel suo unico giallo Juan Benet, per molti il piú grande scrittore spagnolo del Novecento, mette in crisi i canoni del genere poliziesco esaltando nell’ambiguità la forza della letteratura.
Juan Benet, convinto che l’umanità continui «a essere tribale», in L’aria di un crimine affida alla voce del narratore il linguaggio del numinoso che esalta l’onnipotenza dei fenomeni naturali, ostili dalla notte dei tempi a ogni forma di civiltà. Il fatto che Región stia andando in rovina, anche (ma non solo) come conseguenza della guerra civile, conferma soltanto l’andamento ciclico della storia del mondo. Il male ha radici piú oscure e universali, come già temevano uno scienziato e un umanista che agli albori del XX secolo misero a soqquadro i fondamenti delle nostre conoscenze. In una lettera del 1932 Albert Einstein domanda a Sigmund Freud se ci sia un modo di liberare per sempre l’umanità dalla sventura della guerra. Piuttosto a disagio, nella sua risposta articolata Freud conclude di non avere speranze che la pulsione di morte si allenti. Con pari sgomento, Juan Benet è in allerta fin da giovane, ma non per questo capitola. Ne è prova la sua scrittura nata da un desiderio che non si acquieta, da una mancanza che di racconto in racconto rilancia il dilemma, scava, attende.
dalla prefazione di Elide Pittarello