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Il caso Bramard
Lo ha inseguito per una vita, ma Autunnale è sempre stato un passo davanti a lui. Fino a adesso. Fino all'inizio di questa indagine epica e disperata dove piú che mai Bramard avrà bisogno di Vincenzo Arcadipane, l'allievo, l'amico di sempre.
Il libro
Corso Bramard è un uomo silenzioso, riservato. Ha la stessa eleganza contenuta delle montagne di Torino. È stato il commissario piú giovane d’Italia, un investigatore di talento. Poi la moglie e la figlia di pochi mesi sono state rapite e uccise dal serial killer cui stava dando la caccia. Da allora, abbandonata la polizia, trascina un’esistenza fatta di giornate solitarie e notti trascorse a scalare senza protezioni, nella speranza di sbagliare un movimento e cadere. A impedirgli di lasciarsi il passato alle spalle ci sono le lettere che Autunnale – cosí si firma l’assassino – gli scrive da vent’anni. Tra loro è in atto una partita mentale che ha raggiunto una situazione di stallo. Finché Autunnale commette un errore, piccolo: quanto serve a Bramard per ritrovare una parte dell’uomo che era. Arcadipane, che ha ereditato il suo posto, e la spigolosa agente Isa Mancini lo aiuteranno a riaprire il caso. Ma all’appuntamento con la giustizia li attende una verità piú sfaccettata e costosa del previsto.
«Chiedo, e trovo gente che non ha mai letto la saga di Bramard e Arcadipane. Oh, ma vogliamo scherzare? Quei due sono la risposta del Nord al commissario Montalbano! Sono l’invenzione del poliziesco piemontardo! Fango e pioggia, schiene diritte, tristezza, amori disperati, humor impassibile, violenza sepolta, sogni poetici, anarchia. E i corpi? Altro che la siciliana fisicità splendente. Qui i corpi sono una debolezza, un incidente, uno scandalo, una scusa. Scritture di cui si è persa la chiave. Solo nelle nebbie del Nord, dove “il sole è un lampo giallo al parabrise”, c’è gente del genere, e Longo la racconta da dio, con quel suo scrivere che ho studiato a lungo, come potrei studiare un cocktail, e adesso credo di aver capito: due parti di Fenoglio, due di Simenon, una di Paolo Conte e cinque di Davide Longo. Aggiungere una spezia che non so (qualcosa come una goccia di disperazione, direi, ma non so) e servire. Ne butti giú uno e poi non smetti piú. Giuro».
Alessandro Baricco