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Archeologia e pittura a Roma tra Quattrocento e Cinquecento
Il libro
Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento si sviluppa a Roma un fortissimo interesse per il mondo antico che diventa termine di confronto ideale per ogni espressione del moderno. Sia che venga inteso in chiave etica, come proposta di un più degno modello di vita, sia che si tratti della ripresa più o meno puntuale, da parte degli artisti, di soggetti classici, il gusto antiquario si diffonde a macchia d’olio e coinvolge letterati, committenti e pittori: tra questi ultimi, Andrea Mantegna, Bernardino Pinturicchio, Filippino Lippi, Jacopo Ripanda, Amico Aspertini, Baldassarre Peruzzi, Cesare da Sesto, Cola dell’Amatrice, Bartolomeo Ramenghi da Bagnacavallo. Su questo sfondo, anche la figura dell’artista acquista una nuova e più complessa fisionomia: non più, o non solo, artigiano inventore o esecutore di immagini, ma anche umanista e antiquario, capace di un colloquio alla pari con eruditi e letterati. Un ruolo inedito, che anticipa quello che tra breve sarà incarnato da Raffaello.L’incrocio di fonti letterarie e figurative, condotto dall’autore con una sensibilità e un rigore inconsueti, diventa così occasione di confronto disciplinare e strumento per la ricostruzione di un peculiare e suggestivo momento della cultura romana. Esemplare in tal senso la carriera di jacopo Ripanda, ripercorsa non solo sulla scorta dell’esiguo corpus, che del resto viene ridefinito e precisato, ma soprattutto attraverso le diramate relazioni che l’artista intrattiene con gli esponenti più aggiornati della cultura del suo tempo.