Giulio Einaudi editore

La fine del mondo a Breslavia

Copertina del libro La fine del mondo a Breslavia di Marek Krajewski
La fine del mondo a Breslavia
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Breslavia, novembre 1927. Una serie di omicidi insanguina la città. Nel giro di pochi giorni vengono rinvenuti i corpi di un musicista di simpatie nazionalsocialiste murato vivo, di un apprendista fabbro fatto a pezzi e di un consigliere comunale patito di Wagner ucciso in un bordello. Sul luogo del delitto, immancabilmente, si ritrova la pagina strappata di un calendario. Il commissario Eberhard Mock intuisce che per trovare l'assassino occorre evocare un antico passato. Ma Mock ha un altro serio grattacapo per la testa: tentare di salvare il suo matrimonio con la giovane e lasciva Sophie.

2008
Stile Libero Big
pp. 352
€ 16,50
ISBN 9788806191740
Traduzione di

Il libro

Dopo il successo di Morte a Breslavia, torna con un nuovo caso il cinico e ambiguo commissario Eberhard Mock.
Con i suoi metodi distanti dal politically correct, Mock si mette sulle tracce di un brutale assassino frequentatore di biblioteche, mentre la città di Breslavia è scossa dai cupi segnali dell’imminente apocalisse.
Ma fino a che punto il commissario è disposto a venire a patti con la propria coscienza? E se il prezzo da pagare fosse la sua amata Sophie, fragile e capricciosa, schiava degli appetiti sessuali e forse traviata da discutibili frequentazioni?
Un romanzo che scava con spietata durezza nel cuore nero della vecchia Europa, tra case di tolleranza e casinò, massoneria e sette religiose. Una ricostruzione storica minuziosa che restituisce le atmosfere suggestive e il fascino degli anni Venti in Germania.

«Sentiremo a lungo parlare del commissario Eberhard Mock. Ne sentiremo parlare perché è uno di quei personaggi che immediatamente, sin dalla prima apparizione sulla scena, la scena del delitto, catturano l’attenzione del lettore per via di una diversità, se non di un’unicità, che li fa spiccare nell’attuale panorama sovrappopolato di figure di investigatori… Mock è un’epifania dell’ambiguità assunta a regola esistenziale. Uno che scende a patti con la peggiore feccia, che si macchia pure di azioni spregevoli, ma che continua a conservare, in un cantuccio recondito della sua anima, se non proprio nera, alquanto ingrigita, il gusto della giustizia».

Giancarlo De Cataldo

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