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L’erotismo di Oberdan Baciro
«Ci si chiederà come mai nel 1931 una bambina
di anni sette fosse in grado di accedere
al covo di uno scapolo di anni otto...»
Lelio Luttazzi, L'erotismo di Oberdan Baciro
***
Nella provincia triestina degli anni Trenta, si compie
la breve ed esilarante parabola esistenziale di Oberdan
Baciro e del suo incontenibile - e sempre interrotto -
slancio sessuale.
Giocoso, erotico, impudente, il «manoscritto ritrovato»
di Lelio Luttazzi cattura il lato piú leggero
e insospettabile dell'epoca fascista, con una storia
d'infanzia e formazione felicemente fuori
da ogni schema.
Il libro
Pensate al re italiano dello swing. Immaginatelo al pianoforte, mentre duetta con Sylvie Vartan sulle note di Chi mai sei tu, o accompagna Mina in Una zebra a pois. Mettete a fuoco la postura e i gesti, l’aria signorile, l’ironia composta nella voce. Pensate ancora ai modi aristocratici, e a quell’indolenza oblomoviana che era la sua dichiarata aspirazione, il suo modo per sentirsi libero.
Bene. Adesso dimenticatevi tutto. Perché a dispetto della sua immagine da gentiluomo d’altri tempi che suonava con lo smoking e la gardenia all’occhiello, il Luttazzi scrittore si rivela a dir poco spudorato. Comicità scatenata e scatenato erotismo: ecco i due binari su cui corre velocissima la cronaca della (breve) vita di Oberdan Baciro, vissuto quanto il fascismo e morto per distrazione. Figlio unico di madre vedova, devotissima a Dio e al Duce, il piccolo Oberdan è uno di quei rari esseri umani il cui destino si manifesta già nell’infanzia piú tenera. D’altra parte, «quando le cose debbono accadere, non solo accadono, ma precipitano». E a Oberdan basta un orlo appena sollevato, un baluginio di pelle, per trasformare la curiosità in chiodo fisso. Attorno a quell’apparizione fugace si consumano la sua infanzia e la sua giovinezza, votate al culto solitario dell’inspiegabile mistero femminile. Il problema però – vuoi per poco savoir-faire, vuoi per sventura, di certo non per mancanza di iniziativa – è che gli anni passano, ma per Oberdan il mistero resta tale. Non gli rimane cosí che rifugiarsi nella fantasia, accesa dai racconti di chi millanta esperienze trionfali, e da quel ritornello delizioso e crudele che le varie Aurora, Beatrice, Cicci, Patrizia, Nives, Sarah, si divertono a scandire un attimo prima di sottrarsi: Se te me fa veder ti, dopo te fazo veder mi… Mentre l’Italia degli anni Trenta cammina tronfia verso il baratro della guerra, Oberdan Baciro danza il suo impacciatissimo balletto con il desiderio, fino a un beffardo ultimo atto.
Lelio Luttazzi sa essere meravigliosamente leggero. Di quella leggerezza gioiosa e immaginifica che è l’antidoto all’opacità del vivere. Con una lingua spigliata e volutamente démodée, strizzando l’occhio ai romanzi libertini, ci consegna un singolare affresco d’epoca che svela lo spirito irriverente nascosto sotto la gonnella dell’Italia piú severa. Una storia briosa e imprevedibile come la migliore delle sue improvvisazioni jazz.