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Il respiro del buio
Lasciarsi il passato alle spalle e ricominciare: è il pensiero
fisso con cui, dopo due anni di guerra, il protagonista
di questa storia sale sul treno per tornare a casa.
Ma basta poco per rendersi conto che guerra e pace
sono termini intercambiabili, e che non esiste nessun
confine - geografico, cronologico o interiore - oltre
il quale si è salvi: puoi vivere ancora mille vite,
ma se sei stato un soldato sarai per sempre un reduce.
Con la sua scrittura ruvida e diretta, e un talento
istintivo nel raccontare, Nicolai Lilin ci consegna
un romanzo di «formazione estrema», la cronaca
di un percorso emotivo di drammatica intensità.
«Io ero una minaccia per la gente, minacciavo l'assoluto
delle loro coscienze, la sacralità delle loro vite.
Io conoscevo da vicino l'oggetto delle loro più grandi
paure. Credevo di aver abbandonato la guerra, e invece
la guerra ero io».
Il libro
Il respiro del buio comincia con un viaggio, alcune centinaia di chilometri che sanciscono l’ingresso in una nuova vita. Il servizio militare in Cecenia è finito, è tempo di tornare, ma per Nicolai la parola ritorno ha perso significato. È un altro uomo quello che scende dal treno, e anche la città che lo accoglie ha ormai rinunciato alla propria identità per inchinarsi ai miti d’Occidente. Rinchiuso nel suo appartamento, circondato dalle armi importate illegalmente dalla Cecenia, Nicolai attraversa un «dopoguerra» privatissimo e feroce: all’indifferenza muta che gli riserva il suo Paese, non trova altra risposta che l’odio. Odia gli edifici, le strade, l’umanità «pacifica» che gli appare fasulla, intollerabile nella sua pretesa di civiltà.
Per provare a fare i conti con le atrocità subite e commesse, decide d’intraprendere un nuovo viaggio, verso il luogo che rappresenta l’unico ritorno possibile: la Siberia. In questa terra che sa essere per lui spietata e materna, guidato da un nonno che vive in perfetto equilibrio tra asprezza e incantato stupore, Nicolai sembra ritrovare il desiderio di una vita comune. Ma non basta certo il silenzio a cancellare un passato così ingombrante, e neppure serve la determinazione, perché quella che si offre come una possibilità di riscatto può rivelarsi in ogni momento una trappola che inverte la corsa e riporta al punto di partenza.
Così può succedere che un impiego in un’agenzia di sicurezza privata a San Pietroburgo si trasformi in una nuova guerra, più nascosta e apparentemente meno violenta rispetto a quella combattuta in divisa, eppure, se possibile, ancora più pericolosa. Una guerra che fa le sue vittime nelle strade delle grandi città, ma che si combatte soprattutto nelle stanze lussuose della nuova élite economica, nei rapporti tra oligarchi e politici corrotti, negli archivi segreti ereditati dal KGB.
Tra complotti e tradimenti, attentati e amori impossibili, violenze atroci e sorprendenti accensioni ironiche, Nicolai Lilin ci regala quello che tra i suoi romanzi, forse, più lo rappresenta. Perché le storie dei suoi personaggi – storie accadute all’autore stesso o viste accadere ad altri, ascoltate o soltanto immaginate – non sono che varianti possibili di un identico destino: quello di chi, per fuggire dal vuoto, non ha avuto altra scelta che lanciarsi nel buio.