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Tragedie. II.
Il libro
“Questa regione d’Europa giace presentemente in una quasi totale politica nullità, la quale moltissimo influisce su la sua o nullità, o trista, o falsa esistenza morale, letteraria, e massimamente teatrale. Ciò essendo, o nessune, o pochissime tragedie degne di un tal nome, vi si scrive; e nessunissima poi se ne recita mai mediocremente, perché non vi sono né intendenti né pagatori”. Così Vittorio Alfieri, nel suo Parere sulle tragedie: ma la sua non era, nell’arco del proprio secolo, una voce isolata: e non fu neppure una voce sconfitta. Anche se sconfortato dal vivere in un paese che era teatralmente “il ludibrio del rimanente dell’ Europa”, Alfieri non si sottrasse ad una appassionata responsabilità drammaturgica, si preoccupò della rappresentabilità delle proprie tragedie(pur evitando l’approccio alle vaste platee)e ne fu, in momenti decisivi della vita, convinto interprete e scrupoloso direttore di scena: ciò che non accadde(o accadde con molto minore intensità)a tanti altri tragediografi lungo i decenni in cui il genere venne svolgendosi.L’Alfiere scrittore, regista e attore dei propri testi è la sigla critica che lega le cinque tragedie di questo secondo volume – Merope, Maria Stuarda, Saul, Mirra, Bruto Secondo – scelte e presentate da Luca Toschi: l’appendice di Sergio Romagnoli è come una sezione di storia dal vivo dell’itinerario verso la ribalta del corpus alfieriano.