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Storia della società dell’informazione
Ha senso parlare di "società dell'informazione"?
Il libro
Il futuro ha un cuore antico. Per Armand Mattelart, massimo studioso della globalizzazione e sociologo della comunicazione, la nozione di rete ha radici lontane e risale almeno al XVII secolo, alla scienza del calcolo integrale di Leibniz e all’utopia della città universale di Bacone, sintesi entrambe di un’idea di totalità e autosufficienza, sorta non a caso agli albori del capitalismo moderno. Scienza e utopia: da un lato, la statistica, il telegrafo, la geodinamica delle vie di comunicazione e di trasporto; dall’altro, il mito di una lingua universale e di un sapere enciclopedico, il progetto di riduzione dell’innumerevole al numerabile, all’organizzazione razionale di unità paradigmatiche, di serie logiche definite. Sono i Lumi ad avvicinare i due poli, fin quasi a confonderli. Da allora l’allargamento dei confini del mondo non è piú un sogno, ma la concreta attuazione di un disegno culturale, economico, sociale, che dissemina di reti – stradali, ferroviarie, finanziarie, diplomatiche, informative… – la geopolitica dell’universo, accorciando fulmineamente le distanze, avvicinando uomini e paesi, costumi e civiltà. La società dell’informazione è invasiva e capillare, si fa sistema, tecnologia, tecnocrazia. Il mito ecumenico si realizza nelle strategie globali di un mondo sempre piú interattivo e omologato dal fattore informatico. Complici la fine delle ideologie e la filosofia del postindustriale, tutto si tiene, in una superdemocrazia elettronica dai flussi incontrollabili, che seduce e inquieta. Era questo il programma degli utopisti?, si chiede Mattelart. Il quale dà spazio, nelle conclusioni, ai rischi di omogeneizzazione e di squilibrio incolmabile tra chi manipola le tecnologie e chi le ignora totalmente; e quindi a quei movimenti di opposizione che non si riconoscono nelle logiche dell’economia globale.