Giulio Einaudi editore

Monaci e popolo nell’Europa medievale

Copertina del libro Monaci e popolo nell’Europa medievale di Ludo Milis
Monaci e popolo nell’Europa medievale
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«Il presente libro non vuole essere una storia degli ordini religiosi, perché in tal caso risponderebbe a un'esigenza già soddisfatta da molti altri testi. Se mai, si propone di valutare quello che il monachesimo ha significato per la società medievale.»

Dall'Introduzione dell'autore

2003
Piccola Biblioteca Einaudi Ns
pp. VIII - 218
€ 18,50
ISBN 9788806165901

Il libro

«Ludo Milis prende atto, con lo sguardo largo e coraggioso di questo libro, che le migliori ricerche di storia monastica non hanno prodotto un patrimonio di conoscenze comuni. È spesso polemico, ma non ha la pretesa di presentarsi come innovatore radicale: i suoi avversari sono l’opinione corrente (esemplificabile nell’insegnamento scolastico) e le ricerche settoriali che non hanno ben analizzato l’impatto degli ideali monastici sull’insieme della società medievale. Secondo Milis si è sopravvalutata l’incidenza monastica sulla cura d’anime, sulla rete assistenziale, sui pellegrinaggi, sulla cultura, sull’agricoltura, sull’architettura. Milis invita a considerare la comunità monastica come un piccolo alveare che rifletteva un ideale di rapporto fra cielo e terra che avrebbe dovuto essere tipico dell’intera società cristiana. Ma era un ideale anche estenuato e inapplicabile, perché se pochi potevano proporsi di evadere dalla terra e dalla materia, l’umanità nel suo insieme non poteva evadere da se stessa. Le frequenti “restaurazioni” della vita monastica rispondevano a un’idea di “decadenza ineluttabile” della cristianità, e i monaci vivevano la marginalità come fattore di superiorità. Alcune contraddizioni monastiche sono piú apparenti che reali. L’ispirazione all’isolamento si manifestava soprattutto rispetto alle popolazioni locali, mentre la mobilità di abati e monaci su scala europea era notevole. Il “buon abate” era chi aveva accumulato proprietà per il monastero, perché c’era “reciprocità funzionale” con gli aristocratici fondatori. Molti benedettini davano gran peso alla liturgia e scarso valore all’attività manuale e in genere non si trova un nesso fra “etica del lavoro” e monachesimo. La preghiera prevaleva, almeno fino al secolo XII, sull’impegno filantropico mentre, sul finire del medioevo, proprio gli ordini che piú praticavano la povertà erano in grado di accumulare risorse reinvestibili.»

Giuseppe Sergi

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