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La concezione di Dostoevskij
Una delle letture piú suggestive e vertiginose dell'opera dostoevskiana.
Il libro
A parte forse quella di Shakespeare, nessun’altra opera letteraria ha prodotto, al pari di quella di Dostoevskij, una messe tanto abbondante di contributi critici, che non ha mai cessato di scandagliarne le profondità con strumentazioni e traiettorie diversissime, a volte incompatibili e spesso di straordinaria importanza e bellezza. E una delle letture piú suggestive e vertiginose dell’opera dostoevskiana, tutta incentrata com’è sull’idea di libertà, è sicuramente quella del grande filosofo russo Nikolaj Berdjaev, risalente agli anni Venti e frutto di un seminario tenuto poco prima dell’inevitabile esilio dalla Russia. Secondo Berdjaev, Dostoevskij non concepisce la libertà come facoltà dell’anima di scegliere il bene e rifiutare il male, né come valore; sia pure altissimo e irrinunciabile, quanto piuttosto come qualcosa di piú originale, che va colto a livello metafisico prima ancora che psicologico, e cioè nel cuore stesso dell’essere. Ne scaturisce una lettura tesissima, che prescinde provocatoriamente da qualsiasi contestualizzazione e trattazione storico-letteraria, e tende invece a cogliere il carattere tragicamente dialettico di un principio assoluto che fa tutt’uno con la vita e che la filosofia aveva fino ad allora disconosciuto.