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Da un’altra carne
Il libro
Salvino è un bambino di dieci anni con un passato segreto. Piovuto da chissà dove in una famiglia normale, diventa la miccia che fa esplodere i pensieri e i sentimenti di chiunque gli viva accanto. E dietro quei pensieri che sono come derive, le esistenze s’impennano o s’incagliano. Niente sarà più come prima, anche se nulla è mutato. Perché chi viene da un’altra carne può entrare nella nostra anche cosi, come un mago inconsapevole e muto.
La famiglia Traversari è una famiglia normale: a spiarla dal buco della serratura pare di conoscerla da sempre, di guardarsi allo specchio, persino, anche se il rischio è poi quello di vedersi all’improvviso i lineamenti deformati. La signora Ester è una donna di sessant’anni ancora bella, ha allevato i figli da sola, con fatica e allegria. I suoi due ragazzi – Rocco e Guido – hanno quasi quarant’anni, due buone professioni, due amori incrinati, e nessuna voglia di andarsene da casa.
Un giorno Guido arriva con un bambino per mano – Salvino – senza dare spiegazioni. E da quel momento le cose prendono una piega strana per tutti. Per la signora Ester, che non smette più d’interrogarsi sulla sua vita, impastando ingenuità e acutezze, tirando fuori dagli armadi, insieme alle magliette per Salvino, vecchi e nuovi scheletri. Per Guido, tutto gesti e poche parole, padre vicario che nasconde qualcosa soprattutto a se stesso. Per Rocco, un uomo di passaggio ovunque passi, che si osserva dire la cosa sbagliata al momento sbagliato da una vita e non sa darsene ragione. Per i ragazzi del cortile, anche, che credevano che il loro piccolo mondo non fosse più capace di sorprenderli.
Per tutti l’arrivo di Salvino è un tornado interiore. Non solo e non tanto perché è difficile accettare l’estraneo, l’intruso che irrompe nelle nostre esistenze e le sconvolge, un po’ le brucia e un po’ le rigenera. Le ragioni per cui la sola presenza di quel bambino è sufficiente a modificare gli equilibri di una famiglia e degli individui che la compongono sono in gran parte oscure: ed è proprio questa zona buia, questo luogo di verità in movimento, che il libro di De Silva lambisce silenziosamente. Attraverso i pensieri di tutti, che pagina dopo pagina si fanno sempre più corposi e strani e sgangherati, capaci d’ibridarsi con quelli altrui (degli altri personaggi o di chi narra), di aggrapparsi a un’immagine o a un’idea come un naufrago a una corda, e poi di abbandonarla, quella corda, senza ragione. Vanno per la loro strada come persone, questi pensieri sghembi, e compiono azioni. Qualcuna estrema, come quella raccontata nelle ultime pagine del libro: un gesto folle che è nell’aria da sempre, e che dunque, forse, può tornare nell’aria.