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Il mito di Circe
Il libro
«Mythologica esplora le innumerevoli metamorfosi a cui i miti classici, dall’antichità fino ai giorni nostri, sono andati soggetti fra racconto, immagini e interpretazione. Il mito infatti non è mai esaurito – c’è sempre un’altra versione da leggere, il mito non è mai concluso – c’è sempre un’altra versione da scrivere».
C’è chi racconta che li trasformasse tutti in maiali prima ancora di chiedere come si chiamassero, chi invece sostiene che prima se li portasse a letto e poi ne mutasse uno in leone, un altro in toro o in ariete o in gallo. Altri dicono infine che non li tramutava affatto, ma semplicemente sapeva rivelare chi già erano, facendone affiorare la natura nascosta di porci o di asini. Figlia del Sole e di una ninfa, ambiguamente oscillante fra dea e maga, femme fatale e dama soccorrevole, amante vendicativa e divinità benigna, prostituta e madre di eroi, signora della natura selvaggia e maestra di raffinati lussi, da secoli la figura di Circe si modula sulla doppia natura dei pharmaka cui è affidato il suo potere: pozioni potenti, in grado di produrre lugubri degradazioni, ma anche luminose sublimazioni, capaci di rendere l’individuo migliore o addirittura di trasformarlo in dio. La figura di Circe come perfida seduttrice continuerà a essere composta e ricomposta per secoli fino alle immagini fin de siècle di donna «belva», pronta a invischiare i maschi nella sua sessualità onnivora e ferina. Il lato positivo del potere di Circe sarà invece riscoperto dalle artiste del Novecento, per le quali Circe diventa figura della donna moderna, libera e consapevole, capace di contestare gli stereotipi della cultura eroica patriarcale («Non sei stanco di uccidere? – chiede a Odisseo la Circe di Atwood. – Non sei stanco di dire Avanti?»), ma anche simbolo dei rischi di isolamento e delle difficoltà di comunicazione con l’altro sesso insiti nella nuova condizione femminile.
«- Che cosa c’è? – chiese Penelope aggiustandosi il velo che le copriva i capelli. Telemaco scosse il capo e le prese le mani, come per rassicurarla. – Deve essere la luce, – rispose alzando gli occhi, – non vedi com’è strana? Il merlo era comparso di nuovo e, a piccoli scatti, si era avvicinato alla riva, per poi allontanarsene bruscamente. Telemaco ebbe l’impressione che la macchia di sole lo seguisse. – Sei sicuro che questa terra sia Aiaie? – Sicurissimo, siamo giunti all’isola di Circe».