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Vivrò col suo nome, morirà con il mio
«Io sarei vissuto col suo nome, lui sarebbe morto con il mio. In parole povere, lui mi dava la sua morte perché io continuassi a vivere. Avremmo scambiato i nostri nomi, cosa che non è da poco. Col mio nome lui si sarebbe trasformato in cenere, con il suo io sarei sopravvissuto, forse».
Il libro
Nel rigido inverno del 1944, la direzione centrale dei campi di concentramento invia una richiesta all’ufficio della Gestapo di Buchenwald: «è ancora lí il deportato Jorge Semprún, di anni venti, matricola numero 44.904?» I comunisti prigionieri nel campo intercettano il messaggio e decidono di nascondere il giovane dietro l’identità di un altro detenuto agonizzante. E il ricordo di questa sostituzione serve all’autore per raccontare, dall’interno, non solo l’orrore, la sofferenza e la morte in un campo nazista, ma anche i rapporti di potere tra i detenuti, i tradimenti o gli atti di solidarietà, il ruolo del partito, l’atmosfera di una Parigi occupata, il suono di un nome, il sorriso di una donna, l’aria di una canzone, di una poesia che aiuta a vivere e, forse, a sopravvivere…