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Il buon Stalin
Pubblicando alla fine degli anni Settanta il «sovversivo» almanacco Metropol¿, lo scrittore Viktor Erofeev compie un omicidio politico ai danni di suo padre Vladimir, importante diplomatico dell'Unione sovietica. Ma il pur centrale rapporto padre-figlio, non è che un tassello di questo appassionante affresco - allo stesso tempo politico, storico e familiare - capace di svelare meglio di molti saggi le drammatiche contraddizioni dello stato sovietico dal secondo dopoguerra all'inizio degli anni Novanta.
Il libro
«Amavi Stalin?» è la cruciale domanda che un figlio pone più volte al proprio padre. «Amavi Stalin?»: le risposte variano nell’arco degli anni, l’inequivocabile Sì degli inizi perde via via di intensità e convinzione, si attenua con l’avanzare dell’età e della Storia, ma non si trasforma mai in No.
Padre e figlio in questione sono Vladimir e Viktor Erofeev: il primo aveva esordito, nel secondo dopoguerra, come interprete dal francese di Stalin, poi, a stretto contatto con Molotov, aveva seguito la carriera diplomatica sino a diventare ambasciatore. Il secondo era cresciuto con tutti i privilegi che il potere sovietico concedeva alle famiglie dei suoi alti funzionari, aveva seguito i genitori a Parigi, per poi, munito di passaporto diplomatico, girovagare fra Mosca, Vienna, il Senegal. E il primo, a coronamento di una brillante carriera, sarebbe stato nominato vice-ministro degli esteri, se il secondo, trentenne aspirante scrittore, alla fine degli anni Settanta non avesse fatto deflagrare un’autentica bomba politica: l’antologia underground «Metropol¿» che le autorità sovietiche considerarono una intollerabile provocazione. Subito richiamato in patria, a Erofeev padre venne chiesto di fare pressioni affinché il figlio scrivesse una lettera di ritrattazione. Non lo fece: in famiglia, disse, un cadavere (politico) poteva bastare. Dopo anni di incomprensioni e distacco, i due poterono tornare a sfidarsi a tennis.
Viktor Erofeev, il figlio autore, all’inizio del libro assicura di essersi inventato tutto di sana pianta. In realtà sono profondamente veri e autentici tutti i personaggi che compaiono nel suo libro: quelli della sfera familiare, con in primo piano il padre, l’uomo che getta le basi per un’infanzia felice sotto la tutela di Stalin, e contro la cui figura il figlio si ribella, e la bella ed elegante madre, che in Francia impara ad apprezzare gli impressionisti (e lo Chanel No. 5); lo sono i personaggi del mondo politico e culturale sovietico, Stalin in primis, ma anche Molotov, Berija e a seguire tutti gli altri; lo è infine lo sfondo storico in cui il racconto si dipana (l’arco temporale va dalla Seconda guerra mondiale alla fine dell’Unione sovietica).
Mescolando aneddoti, ricordi, documenti ufficiali, conversazioni, sogni, Erofeev compone uno straordinario mosaico, forse non dissimile dal famigerato «Metropol¿», che ci svela le contraddizioni di un modello politico e sociale che ha segnato profondamente il XX secolo.
«Erofeev è un narratore straordinario»
Frankfurter Allgemeine Zeitung
«Il romanzo autobiografico di Viktor Erofeev è un libro appassionante»
Süddeutsche Zeitung