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Il perturbante dell’architettura
Lo straniamento all'interno delle pareti domestiche ha una lunga storia. Sensazioni di sottile o di opprimente inquietudine direttamente innestate nel cuore della normalità quotidiana hanno accompagnato l'esperienza umana da sempre.
Il libro
Scrittori come E.T.A. Hoffmann e Poe ne hanno fatto il tema di straordinari romanzi e racconti. Freud ne ha trattato dal punto di vista psicoanalitico. Anthony Vidler, in questo libro pubblicato nel 1992 e divenuto da allora un imprescindibile punto di riferimento per il dibattito critico e teorico, analizza gli effetti dell’azione del perturbante sull’architettura a partire dalla fine del Settecento, epoca in cui l’angoscia e lo spaesamento moderni hanno incominciato a divenire operanti. Ma è soprattutto ai nostri giorni che il perturbante non soltanto ha assunto il ruolo di fondamentale metafora di una generalizzata condizione d’invivibilità ma è entrato addirittura a far parte della strumentazione linguistica del progettista. Attraverso la raffinata lettura che Vidler ne compie, i progetti e le opere di alcuni tra i piú noti architetti contemporanei – Peter Eisenman, Rem Koolhaas, Bernard Tschumi, John Hejduk, Coop Himmelblau, Elisabeth Diller e Ricardo Scofidio – mostrano un volto del tutto diverso da quello disimpegnato e ottimistico che solitamente appare: deformazioni, smembramenti, rotture, ben piú che brillanti invenzioni stilistiche, risultano essere lo specchio infranto in cui si riflettono, in modo piú o meno consapevole, la perdita di radicamento e l’angoscia oggi dominanti nel mondo.