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Il buon uso della depressione
Se la sostanza chimica ha il potere di trasformare uno stato depressivo in uno stato di benessere, è solo con la psicoterapia che si giunge al riconoscimento dei propri affetti e che affiorano le attese di una soggettività dotata di una propria identità.
Il libro
La violenza del vuoto nello stato depressivo è l’oggetto della ricerca fenomenologica di Pierre Fédida. Formatosi alla scuola di Ludwig Binswanger attraverso l’insegnamento di R. Kuhn, A. Tatossian e H. Maldiney, l’autore realizza un difficile lavoro di fondazione di una psicopatologia fondamentale, capace di render conto dal punto di vista ontologico del fenomeno della «depressione vitale». Nel compiere tale impresa Fédida si serve di esempi tratti da storie cliniche, ma anche di opere e personaggi dell’arte e della letteratura. È cosí condotto a porsi qualche domanda. È sufficiente eliminare i sintomi della depressione per guarirne? Si può debellare cosí facilmente la sofferenza psichica che è alla base dello stato depresso? È possibile, come per incanto, ritrovare il desiderio di vivere, di sognare e di agire? Fédida dimostra, dal punto di vista dello psicoanalista, in che modo la psicoterapia possa aiutare a tornare alla vita. I farmaci sono certamente utili ma non guariscono dal mal di vivere. Per questo, bisogna essere in due, avere pazienza e tempo a disposizione, anche se non necessariamente moltissimo tempo. È solo a queste condizioni che il pensiero, la parola e l’azione ridiventano possibili. E se la depressione sopraggiungesse in quei momenti in cui la vita tenta di proteggersi e di trasformarsi? È forse possibile fare un buon uso della depressione? Sostenere che farmacoterapia e psicoterapia debbano integrarsi in un corretto agire clinico sembra quasi una banalità, ma non è così: soprattutto se si assume la prospettiva di Fédida che, ben lontana dal promuovere una semplice giustapposizione tra sostanza chimica e parola, sottolinea invece tutte le potenzialità della loro relazione, in modo tale che sia per effetto della psicoterapia che quella particolare molecola si trasforma in «farmaco». Se la sostanza chimica ha il potere di trasformare uno stato depressivo in uno stato di benessere, è solo con la psicoterapia che si giunge al riconoscimento dei propri affetti e che affiorano le attese di una soggettività dotata di una propria identità.