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I Fasci siciliani 1892-94
Il libro
Il movimento dei Fasci siciliani rappresenta uno dei nodi cruciali della storia dell’Italia postunitaria. In esso si possono scorgere i caratteri nuovi e problematici che andava assumendo in quegli anni, e non solo in Italia, la questione agraria nella teoria e nella pratica delle forze progressive e del movimento socialista. D’altro canto, nel movimento dei Fasci coesistono ed operano dimensioni più particolari e specifiche, caratteristiche prettamente meridionali e siciliane, per cui si può dire che nell’insieme questo moto contadino porta il segno delle fratture storiche del processo di unità nazionale, e in qualche misura le consolida e le cristallizza. Nel punto di questa complessa intersezione tra le spinte progressive di un socialismo vivace ma confuso, e gli atavici motivi di scontento e di ribellismo contadino, si colloca l’analisi di Renda, che si muove tra geografia storica e storia sociale, tra fenomeni di lungo respiro e processi politici di più recente origine e sviluppo. Trova così risposta la domanda posta sullo sfondo di questa riflessione storica. A fondamento della nascita e dello sviluppo dei Fasci, e della loro violenta repressione, non fu un’ipotesi di tipo jacquerista o ribellistico. Alla base di quel movimento fin dagli inizi fu la proposta socialista, maturata a livello italiano ed europeo, della conquista della campagna da parte del movimento operaio; di una campagna nella quale, per quel che riguardava l’Italia, ci fossero i braccianti, i contadini poveri, ed anche i mezzadri, i coloni, i piccoli proprietari. La battaglia che fu combattuta, e perduta, dai contadini siciliani fu dunque una battaglia nazionale. La crisi della borghesia liberale, che il movimento dei Fasci aveva contribuito ad evidenziare, avrebbe trovato uno sbocco autoritario proprio nella repressione di quel movimento, in una collocazione più chiusa e regressiva dei gruppi dominanti.