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Il ballo dei pescecani. Storia di un forzato
Il libro
«Il 2 novembre 1931, io il mio amico Albert Dufermont tentiamo una rapina alla posta di Bandol, piccola cittadina al bordo del mare, una città tranquilla…». Cosí inizia l’avventura che porterà alla Guyana Aldo Pomini, un piccolo «duro» oriundo di Barge, in provincia di Cuneo, emigrato in Francia con la famiglia. Rimasto presto orfano, Pomini si arrangia come può, fino a che la rapina fallita lo piomba ai lavori forzati, cimitero di vivi che i vecchi bagnards chiamano .«ghigliottina secca», per la spietata efficienza con cui elimina i deportati. Nasce anche in lui la psicosi della fuga, con i suoi febbrili preparativi, i colpi di scena, le delusioni. Nel feroce universo concentrazionario del campo, Pomini impara presto gli espedienti che consentono di sopravvivere. Fornaio, pasticciere, trafficante nelle merci piu svariate, riesce ad organizzare nella cella piu angusta o in riva alle scogliere gli scambi piú impensati. Intorno si agita un’umanità cosmopolita, brulicante di egoismo e generosità, violenza e sopraffazione. La volontà dei disperati trasforma gusci di noce, carrette, zattere e piroghe in barche che devono affrontare l’oceano per centinaia di chilometri. È un mare che non porta alla libertà, ma ad altre prigioni, dove gli «evasi dalla Cayenna», i «senza documenti» riprendono il loro calvario senza abbandonare il proposito di uscire da quel labirinto. È un mondo primordiale, di passioni e necessità elementari, quello di questi moderni picari: un mondo che ha già le sue leggende e i suoi «eroi». Pomini (che, rientrato in Italia nel 1939, vive oggi a Torino) lo racconta – e qui sta l’interesse primario del documento – in un linguaggio personalissimq e singolare: un italiano colloquiale e sgangherato, talmente irto di francesismi e talora di ispanismi, da diventare una lingua speciale, unica. La vitalità del libro sta proprio nell’affabulazione torrentizia del protagonista-narratore, negli scatti e nelle giravolte di una oralità «primitiva», non condizionata da filtri culturali. Il ballo dei pescicani si trasforma presto da libro di memorie in un fitto album di avventure che ha i colori «impossibili», sognati e sgargianti, dei pittori naïfs.