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Romancero
Il libro
«Quando nacque, come nacque quel vasto corpus di canti narrativi – il romancero – che qualcuno non ha esitato a definire un’Iliade senza Omero? Pare ab- bastanza plausibile far coincidere la data di nascita del romancero con quella dell’agonia e della morte del poema epico, intorno alla metà del XIV secolo. Verso la metà del Quattrocento i romances erano ancora relegati fuori dagli spazi della cultura ufficiale e graditi soltanto, secondo autorevoli dichiarazioni dell’epoca, ai bifolchi, alle donnette e alle vecchie che filavano vicino al fuoco: a gente, insomma, “di bassa e servile condizione”. Ma il fascino patetico e scontroso che li caratterizzava non avrebbe piú tardato ad aprir loro le porte del Palazzo. Furono dapprima accolti e apprezzati alla corte aragonese di Napoli. Poco piú tardi salirono i gradini dell’austera corte di Castiglia, dove costituirono uno degli svaghi di sala favoriti della cattolica Isabella. Da allora i testi cessano d’avere circolazione esclusivamente orale per essere catturati e fissati dalle stampe, dapprincipio attraverso fogli volanti. Questi fogli erano detti “pliegos de cordel” poiche venivano messi in vendita sciorinati su uno spago. Per ognuna delle leggende e dei poemi eroici elaborati nel Medioevo spagnolo esistono cospicui cicli di romances: sul re Rodrigo, su Bernardo del Carpio, su Fernán González conte di Castiglia, sugli infanti di Lara, sul Cid, sulla battaglia di Roncisvalle, su Tristano, Lancillotto, Walter d’Aquitania… Il pacato impegno narrativo dei testi epici vi si sfrangia in lacerti di accentuata emotività; spesso tutta una complessa storia si conchiude in una sola, intensa e fulminea sequenza. Ecco allora fiammeggiare la collera di donna Lambra oltraggiata dai nipoti che avvierà al massacro; ecco l’acqua spruzzare sotto gli zoccoli del cavallo del conte Fernán González al guado di Carrión; ecco l’infanta Urraca comparire in corsa affannosa a turbare con parole di vituperio l’agonia di suo padre…»
Dalla introduzione di Cesare Acutis