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La vita dopo
La storia di Louanne Antrim, bellezza sfiorita, insegnante per ripiego, artista fallita, moglie a due riprese, alcolista impenitente, madre di Donald. La storia della sua devastante relazione col figlio, e quella delle persone e delle cose che ne fanno parte. La storia della sua morte lenta. La storia della vita, dopo.
Il libro
«Dire che il nuovo appassionante libro di Donald Antrim dà conto del dolore di avere una madre ferocemente alcolizzata, violenta e carismatica potrebbe farlo apparire come un memoir convenzionale. Ma La vita dopo non assomiglia a nient’altro. […] Una lettura obbligata per chi sia ossessionato dagli inquieti fantasmi di coloro che si amano di più».
«People»
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«Il miglior libro che Antrim abbia mai scritto».
Joan Acocella, «The New York Review of Books»
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A cinque anni di distanza dalla morte della madre Louanne per una malattia polmonare causata da una vita di eccessi alcolici e tabagici, Donald Antrim guarda dentro; dentro la sua storia, la sua famiglia, il suo rapporto con la madre, polo eccentrico ed egocentrico del suo universo. Ne nasce un memoir bizzarro e struggente, ora dolorosamente poetico ora amaramente comico, che non procede secondo un ordine lineare ma per balzi temporali e logici, alla maniera dei ricordi. E, come nei ricordi, il fuoco non sempre cade là dove sarebbe prevedibile. L’obiettivo della memoria si stringe su un dettaglio inatteso, gli guadagna il campo intero, sfuma il quadro circostante. Così: «partendo da questo presupposto – la storia di mia madre e di me, di mia madre in me – cercherò di raccontare un’altra storia, la storia del mio tentativo, nelle settimane e nei mesi che seguirono la sua morte, di acquistare un letto».
La galleria di queste storie «altre» è varia e magistralmente tratteggiata. Include, appunto, la scelta e l’acquisto di un letto Dux modello extra-lusso, e poi la sovrabbondanza babelica del bagagliaio di un’auto, la ricerca di un quadro-graal di assai dubbio valore, il giallo irrisolto di un doppio testamento, un kimono di seta zavorrato di bisogni; tutte storie in sé conchiuse, apparentemente autonome. Eppure tutte, per potenza evocativa, o trascinante arguzia, per dilatazione del particolare, o pregnanza del simbolo, puntano dritte al cuore di quel che non dicono: lo strazio di un figlio più volte orfano, con la fortuna e la sfortuna di saper spostare la perdita e metterla in formidabili parole.
Il quadro torna a fuoco tutto intero e s’imprime nella mente e nel cuore. Difficile staccarsene, dopo.