Mese: ottobre 2023
Che facesse il dirigente editoriale, il critico letterario, lo scrittore, il traduttore o l’organizzatore culturale non cambiava la sostanza delle cose: Ernesto Ferrero aveva un suo quid, una sua personalità che attraversava i ruoli rimanendo sempre ben riconoscibile, inconfondibile. Gli «ingredienti» erano la gentilezza e l’eleganza combinate però (a dispetto dei pregiudizi sui torinesi) con la franchezza e la nettezza dei giudizi e delle posizioni; la prontezza dell’intelligenza con la disponibilità e la capacità di ascolto; il garbo e l’ironia anche nelle situazioni di stress.
Nella sua attività editoriale, dal 1963 al 1989 all’Einaudi, poi alla Bollati Boringhieri, alla Garzanti e alla Mondadori, ha sempre messo a proprio agio autori, colleghi e collaboratori cercando, secondo un’idea fissa del suo mentore Giulio Bollati, la «felicità» delle persone. E questo ne ha fatto una delle figure più amate dal mondo letterario italiano. Dagli infiniti incontri di questa lunga esperienza professionale restano appassionate memorie e indimenticabili ritratti in due libri, per l’appunto, molto felici: I migliori anni della nostra vita (Feltrinelli 2005) e Album di famiglia (Einaudi 2022). La sua capacità di cogliere un modo di camminare, una parlata, un tic e di proiettarlo in un carattere, e di connettere il carattere ai pensieri e agli scritti dei suoi personaggi disegnati dal vero ne fa il nostro Sainte-Beuve.
Anche il suo acume critico, esercitato su autori come Gadda, Primo Levi e Italo Calvino, risulta corroborato dalla conoscenza diretta, dalla testimonianza, dalla capacità di racchiudere in icastiche formule descrittive/interpretative il nocciolo stilistico e umano degli scrittori più amati. Esempio eccellente ne è il recentissimo Italo, che rimarrà purtroppo il suo ultimo libro.
Come scrittore in proprio prendeva spunto dalla storia ma costruiva i suoi protagonisti con lo stesso calore letterario dei personaggi di finzione: dal Napoleone di N. al grande truffatore Edgar Laplante dell’Anno dell’Indiano (nato Cervo bianco), dal Salgari di Disegnare il vento al san Francesco di Francesco e il Sultano. Tutte parabole esistenziali straordinarie in affreschi d’epoca precisi e suggestivi.
Come direttore del Salone del libro dal 1998 al 2016 rimarrà nella storia di questo evento come sapiente organizzatore, ma verrà ricordato anche per la capacità di presenziare a tutti gli incontri più importanti e di pronunciare sempre le parole più appropriate per introdurli. Sembrava possedere soprannaturali doti di ubiquità perché avresti giurato di averlo sentito parlare un attimo prima a una tavola rotonda e già stava presentando un premio Nobel in un altro padiglione. Tanti discorsi che non avevano mai il peso dell’ufficialità e della retorica. Per lui che aveva studiato i gerghi del Quattrocento e che aveva tradotto Céline, la lingua parlata, immediata, creativa era il miglior antidoto contro qualsiasi enfasi e ben rappresentava il suo animo più profondo.
Dopo il successo internazionale de Il treno dei bambini e di Oliva Denaro, il nuovo libro di Viola Ardone, Grande meraviglia, completa un'ideale trilogia del Novecento.
In questo magnifico romanzo di formazione, il legame di una ragazzina con l'uomo che decide di liberarla rivela il bisogno tutto umano di essere riconosciuti dall'altro, per sentire di esistere.
Grande meraviglia sta conquistando i lettori e la critica:
«Un romanzo di formazione luminoso: Ardone fa un salto definitivo con audace bellezza, guarda negli occhi il precipizio esistenziale della follia e gli dona una forma non convenzionale attraverso due storie che colgono l'importanza di riconoscere l'altro, di sentire che esiste e che esistiamo e che mettersi in ascolto è forse la chiave per accedere a ogni grande meraviglia».
Federica Bassignana, «Il Foglio»
«Una storia che non ci si stacca di dosso».
Marta Cervino, «marie claire»
«Benvenuti nella grande bellezza di Viola Arcione, che si conferma - dopo un romanzo sulla miseria dei bambini di Napoli e uno sul l'oppressione delle ragazze in Sicilia - straordinaria raccontatrice del nostro Novecento, tutto storto eppure pieno di umanità».
Cristina De Stefano, «Elle»
«…Grande meraviglia, l’ultimo romanzo di Viola Ardone che ci commuove col sorriso sulle labbra, una lingua musicale, un mix di temi (la paternità non biologica, la pazzia, l'amore) e uno stile aderente al senso dell’opera».
Rossana Campisi, «Io Donna»
«Ardone costruisce personaggi che parlano all'anima di tutti e vivono nel cuore dei grandi eventi […] Grande Meraviglia è un romanzo coi piedi nella Storia e la testa nelle invenzioni, una ballata degli addii dove “i fatti si confondono in una nebbia che mescola le azioni, i sogni, i desideri, i ricordi». Come quando ti svegli e «non sai se il bacio che hai sognato l'hai dato veramente, se la persona che hai visto ti ha parlato davvero”».
Vittorio Lingiardi, «la Repubblica»
«Dopo Amerigo Speranza, protagonista di Il treno dei bambini, e Oliva Denaro, che nell'omonimo libro si ribella a una cultura patriarcale, la scrittrice Viola Ardone ci consegna il ritratto di un altro indimenticabile io narrante nel suo nuovo romanzo di formazione Grande meraviglia: la piccola Elba – un nome che ricorda un fiume del Nord e una vita che trascorre insieme alla madre nel “mezzomondo, la casa dei matti”».
Benedetta Marietti, «il venerdì – la Repubblica»
«Ardone ha il raro talento di declinare in modalità fantastiche temi edificanti e battaglie civili con una scrittura ricca, spesso ammiccante, divertente e per questo anche più incisiva, intessuta d'invenzioni lessicali e neologismi adattati ai vissuti dei suoi "io" narranti. […] Ardone diverte, e a volte si diverte motteggiando qua e là nei riferimenti a personaggi e tic anche del mondo letterario».
Titti Marrone, «Il Mattino»
«Con la grazia che contraddistingue la sua scrittura Viola Ardone ci consegna il terzo suo romanzo sul Novecento».
Valeria Parrella, «Grazia»
«Il libro di Viola Ardone Grande Meraviglia è davvero importante […] I romanzi non si raccontano, si leggono. E questo vale proprio la pena di conoscerlo. È una scrittura che ha due ritmi, a seconda della voce di chi racconta, ma una uguale capacità di portarti dentro quell'inferno e di farti provare forti emozioni».
Walter Veltroni, «7 – Corriere della Sera»