Giulio Einaudi editore
Ricordo, la strada, non è un paese per vecchi, oscar, pulitzer, Cormac McCarthy
© Beowulf Sheenan

A volte la morte è generosa. A noi quella di Cormac McCarthy ha lasciato il tempo delle sue ultime parole: sarebbe bastata una manciata di mesi e il capitolo finale del suo lavoro – Il passeggero e la sua storia sorella Stella Maris, che pubblicheremo il prossimo settembre – non avrebbe preso vita durante quella del suo autore. Un capitolo finale che concentra almeno un quindicennio di elaborazioni intorno alla storia tragica di Bobby e di Alicia Western, e che è insieme una summa, uno slancio e un rimpianto: cerchio, linea e punto.

La coppia Il passeggero-Stella Maris segue il perimetro della scrittura di McCarthy, fa visita ai suoi personaggi più antichi e recenti, dai Rinthy e Culla di Il buio fuori al Ragazzo – il Kid – del Meridiano di sangue al Bianco e Nero di Sunset Limited, ripesca con nuovi ami nel bacino della sua cosmogonia, e chiude il cerchio là dove tutto è cominciato, a Knoxville, in quel sottomondo di vitalistici reietti ed esilaranti svirgolati che McCarthy ci ha regalato una volta e per sempre in Suttree, a cui Il passeggero è legato in un intimo e nostalgico abbraccio.

La linea, in quest’ultimo capitolo, punta all’oltre, e in alto. Si radica nel buio delle profondità subacquee e dell’inconscio silenzioso, casa di paure e pericoli in agguato, attraversa e sgretola il fango del mondo noto, e buca la membrana di ciò che è materiale in cerca di uno sbocco etereo e forse divino. La linea di questi romanzi è una lancia puntata verso nuovi orizzonti, narrativi e perfino spirituali. Il McCarthy del Passeggero e di Stella Maris è un mistico carnivoro.

Lo slancio per sfuggire al confine include la sua stessa arte. Com’è noto, Cormac McCarthy ha trascorso molta parte degli ultimi anni nel tempio delle scienze esatte del Santa Fe Institute, unico scrittore ammesso in un cenacolo di matematici, fisici e astronomi, e dei loro campi di azione ha respirato il fascino e il mistero. Con Il passeggero porta dentro la sua scrittura la materia arcana delle discipline dure, di cui contempla l’irriducibile bellezza, «informandola – come nota la traduttrice della diade, Maurizia Balmelli, – in un movimento prosodico che ha del rituale, anzi del liturgico, e che di quella materia allarga ed eternizza il respiro». Giustapponendo questo respiro al limite insito nel linguaggio, McCarthy sembra quasi voler dare scacco al se stesso scrittore, che dentro quel limite deve lavorare. Ma quella che leggiamo, paradossalmente, meravigliosamente, è proprio la rivincita dello scrittore. Attraverso quella creazione di genio che è il personaggio del Kid, McCarthy ci dimostra che anche la scienza, nelle sue mani, diventa un miracolo di affabulazione, e solo grazie a questo riesce a suggerirci una sua superiorità.

«La lingua del Kid, – osserva ancora Maurizia Balmelli – specchio deformante, sorta d’incarnazione dell’inconscio della protagonista, è stratificata e anacronistica come solo potrebbe essere quella di un’entità che superi i confini dell’umano. E tuttavia, anche entro i confini dell’umano, i dialoghi mccarthiani conservano una portata metafisica. A un tratto siamo su una piattaforma petrolifera e si fanno iperralistici, e per venire a capo dei vuoti, delle sospensioni, devo andare fino in Congo, e affidarmi alla perizia di chi su una piattaforma ci lavora». Le piattaforme petrolifere, le corse di automobili, le immersioni subacquee, la meccanica quantistica, l’amore proibito, le armi automatiche, il gioco di parole: non c’è limite all’esattezza quasi biunivoca del lessico di McCarthy, alla competenza delle sue descrizioni, al gusto di un’estensione verbale che riflette quella dei mondi a cui attinge; ma la ricerca della giusta espressione non trabocca in sovrabbondanza. La parola perfetta è solo una, a volte meno di una: Il passeggero celebra ad ogni riga, giù fino alla contrazione della punteggiatura, la promessa contenuta nell’ellissi.

Rimane solo il punto ora. L’immagine del punto, dopo quella del cerchio e della linea, per l’ultimo capitolo dell’avventura mccarthiana è autoevidente, ed è per noi: è il punto fermo della fine delle storie, anche di quelle lunghe e intense come questa. È il rimpianto che si porta appresso. Bobby Western ci ha accompagnato fino al tramonto di un figlio inimitabile di quell’Occidente americano che profeticamente si porta nel nome. Chi o cosa abbia accolto quel figlio, non è dato sapere. «Lo so eccome – mi contraddice Cormac McCarthy dalle pagine del suo Sunset Limited –. So cosa mi aspetta e so chi mi aspetta. Non vedo l’ora di strofinare il naso contro la sua guancia ossuta. Sicuramente sarà sorpresa di vedersi trattata con tanto affetto. E mentre la abbraccio forte le sussurrerò all’orecchio secco e antico: Eccomi qui. Eccomi qui». Forse l’ultimo capitolo che ci ha consegnato contempla la minuscola possibilità di un’estrema sorpresa.

Cormac McCarthy

Nel cuore di una fredda notte del 1980, Bobby Western indossa la sua muta da sommozzatore e si tuffa nelle nere profondità della baia del Mississippi. Laggiù scorge il profilo di un aereo con nove corpi in cabina, gli occhi vuoti e le braccia protese verso un gelido abbraccio. Che fine ha fatto il fantomatico decimo passeggero? Quali oscure macchinazioni cela la sua scomparsa? Dolente viandante del mondo da sempre braccato dalla perdita e dalla colpa, ora Bobby deve tornare a fuggire, inseguendo la libertà e il ricordo di una donna per sempre irraggiungibile.

Dopo un silenzio durato 16 anni, Cormac McCarthy ci stupisce e conquista con un’opera di disperata bellezza e apicale bravura. Il passeggero, primo romanzo di una diade che si completerà con la pubblicazione di Stella Maris nel settembre 2023, è stato uno dei libri più attesi dell’ultimo decennio. E l’attesa, secondo la critica e il pubblico, è stata ampiamente ripagata:

«L’inconscio è più antico del linguaggio. Molto più antico. È un concetto su cui Cormac McCarthy torna spesso. Il passeggero è un libro splendido, e a questo tipo di riflessione deve molto».
Nicola Lagioia, «Lucy» (link)

«È pericoloso maneggiare un nuovo libro di McCarthy. Perché porta con sé la pazienza con cui è stato scritto e per il segreto che avvolge questo cowboy delle lettere, forse il più grande degli scrittori viventi. […] Abbiamo tra le mani un libro sugli amori che non si arrendono alla memoria. Ed è un libro di McCarthy, e di Cormac, le due personalità narrative dell'autore che sfiatano una prosa calcificata nella terra e una ricerca di amore sospesa. Si può leggere come una specie di thriller con lunghi dialoghi a disinnescare le tensioni, oppure come un viaggio fisico e spirituale verso la rotta che ci spetta. Se scegliamo la seconda via, dobbiamo sapere che si tratta di ferite a morte».
Marco Missiroli, «la Lettura – Corriere della Sera»

«Cormac McCarthy mostra con questo straordinario romanzo di sapersi inoltrare come pochi nelle pieghe più oscure dell'animo umano, spingendosi lì dove occorre avere un grande coraggio oltre a una scrittura che da tempo ha raggiunto una qualità stilistica tale da elevarlo senza alcun dubbio tra i classici […] McCarthy intesse così un romanzo capace di inchiodarci alla pagina come un thriller e allo stesso tempo di sollevare questioni fondamentali, facendoci interrogare sulla nostra natura, di più: sulla nostra (in)capacità di comprendere il mistero stesso della vita».
Giuseppe Culicchia, «tuttolibri – La Stampa»

«Il Passeggero è una perla preziosa che ogni lettore deve andarsi a prendere, pagina dopo pagina, nelle profondità dell'abisso. Non sarà semplice, talvolta rischierete di perdervi ma alla fine, fra le dita, vi resterà polvere di stelle, residui di vera letteratura».
Francesco Musolino, «Il Messaggero»

«È la profondità dell'oscurità a spaventare Bobby Western, l'uomo tormentato al centro del nuovo straordinario romanzo di Cormac McCarthy […] La scrittura di McCarthy è potente, inebriante […] Questo romanzo è un glorioso canto del tramonto».
Xan Brooks, «Internazionale – da The Guardian»

«La lingua di Il passeggero è qualcosa di nuovo, diverso: più semplice e diretta rispetto alle opere passate, ma in qualche modo evidentemente misurata, calcolata, nella quale nessun segno di punteggiatura è lasciato al caso ma si ha il sospetto che ogni minimo particolare, ogni fluttuazione della voce, abbia un significato a sé stante. “Per ogni accento che manca, sembra esserci un pensiero di giorni”, come scriveva John Jeremiah Sullivan sul New York Times».
Giulio D’Antona, «Domani»

«Come sostiene Raul Montanari, la narrativa di McCarthy è “un inferno darwiniano dove sopravvivere è il fine primario”. Le sue pagine – per richiamare Baricco – “adottano l'orizzonte epico del western” per mostrare l'uomo sedotto dalla violenza eppure affamato di sacro».
Crocifisso Dentello, «il Fatto Quotidiano»

«…Passerà il nostro tempo e noi con esso. Di noi, di noi oggi, resteranno alcune testimonianze, dei lasciti. Uno di questi è Il passeggero di Cormac McCarthy. Potrei scrivere di altro, ma non riesco a pensare ad altro da quando l'ho letto e il motivo non è riassumibile nella trama, ma nelle vette di pensiero che toccano i personaggi del romanzo. La mia copia è tutta sottolineata».
Ray Banhoff, «L’Espresso»

«Il passeggero, cioè, è un romanzo sapienziale, in cui McCarthy convoca i suoi eroi, trasognati «il Kid» e la cricca di felliniani freaks provengono da Meridiano di sangue; Bobby Western, il protagonista, ha la stessa stoffa del John Grady Cole di Cavalli selvaggi; l'amore tra i fratelli ricalca quello, di tenebrosa violenza, narrato in II buio fuori, per redigere una sorta di memorabile, ghignante requiem».
Davide Brullo, «il Giornale»

Il 7 giugno, dal Teatro Romano di Benevento, è stata annunciata la cinquina finalista della LXXVII edizione del Premio Strega. Fra i titoli c’è Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone, uscito a ottobre del 2022 nei Supercoralli.

Il libro era stato presentato da Franco Buffoni:

«Propongo la candidatura del romanzo Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone per due fondamentali motivi: la tenuta stilistica che non viene mai meno nelle 247 pagine del volume; la capacità dell’autrice di coinvolgere il lettore in una vicenda storica e umana al calor bianco.
Già due anni fa con Splendi come vita, edito da Ponte alle Grazie, Maria Grazia Calandrone aveva visto pienamente riconosciute le proprie doti di narratrice, ben figurando nella dozzina del Premio Strega.
Con questa nuova prova narrativa l’autrice, ben nota da decenni come indiscutibile voce poetica, non solo conferma le qualità di narratrice di razza allora poste in luce, ma le corrobora con una magistrale ricostruzione storica dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta: riuscendo a ricostruire ambienti e situazioni (il Molise rurale, la periferia milanese in pieno boom economico, Roma magica di altera e sconsolata bellezza) in modo altamente poetico pur se finemente realistico, e dando dei propri genitori biologici tesi verso una tragica fine un ritratto nitido, al contempo profondamente partecipe, ferocemente oggettivo e emblematico nella sua attualità».

L’elezione del libro vincitore si svolgerà il 6 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Gli altri candidati:

Andrea Canobbio, La traversata notturna (La nave di Teseo)
Ada D’Adamo, Come d’aria (Elliot)
Romana Petri, Rubare la notte (Mondadori)
Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli)