Spatriati
Claudia entra nella vita di Francesco in una mattina di sole, nell'atrio della scuola: è una folgorazione, la nascita di un desiderio tutto nuovo, che è soprattutto desiderio di vita. Cresceranno insieme,...
Sharon, detta Sharo, è una ragazza di borgata come tante, con sogni nemmeno troppo grandi. È bionda, alta, magra e ha la faccia sempre imbronciata; non una bellezza classica, eppure attira gli uomini come il miele le mosche. Cresciuta alle Torri, nella periferia romana, ha sopportato a testa bassa una vita più dura del dovuto.
Vive con la madre invalida e ha bruciato un bel po’ di lavoretti precari sempre per la stessa ragione: le mani lunghe dei capi. Poi una misteriosa consegna portata a termine per conto del fidanzato, un piccolo balordo, cambia la sua esistenza. Con la protezione di un annoiato aristocratico, Sharo inizia la sua irresistibile ascesa criminale. Ma la mala che conta, quella che controlla il mercato della droga, si accorge di lei e comincia a tenerla d’occhio, a guardarla con rispetto, con timore, con odio.
Lí, in quell’ambiente, nella zona oscura della città, nessuno la chiama piú con il suo nome. Per tutti è la Svedese.
Andò a dormire stringendo lo zainetto e il suo prezioso contenuto. Prima di sprofondare nel dormiveglia, accompagnata da Eggy, un ultimo pensiero: cinque sacchi, cosí, puff!
«La Svedese è una ragazza, mi sono sforzato di pensare come lei, e come i tanti che hanno vissuto in una bolla di disagio, insofferenza, antagonismo. Mi sono sforzato di vederla come quei ragazzi e quei disagiati che non potevano permettersi i duecento metri quadrati in centro, il posto fisso, il ristorante gourmet d'asporto. E ho chiesto alla Svedese di comunicarmi la sua rabbia, il suo impeto, la sua freschezza e la sua astuzia. Così la Svedese è diventata la protagonista di un'ascesa criminale nei giorni della pandemia, muovendo dalla sua immaginaria borgata alla conquista del centro».
Giancarlo De Cataldo, «tuttolibri – La Stampa»
«Il nuovo romanzo di Giancarlo De CaItaldo si beve come una birra ghiacciata quando fa caldo, ma contiene tutto: la lotta di classe, le nuove droghe, il virus, il potere. Più che a un romanzo, però, assomiglia al primo episodio di una serie. Non è un caso, perché la fine della fine è tra le novità più interessanti della narrativa d'azione degli ultimi anni: nell'impossibilità di ricavare una morale dalla storia, scoprire il colpevole e ridare un ordine al mondo frantumato dall'irruzione del male, la narrazione tende a prolungarsi all'infinito, moltiplicando attenzione e consumo, come nei serial tv […] La Svedese è un romanzo di formazione criminale in un mondo in cui, per i poveri, il crimine sembra tornato a essere l'unico romanzo possibile».
Giacomo Papi, «la Repubblica»
«Quando sostituisce Fabio investito e azzoppato da un'auto pirata, nella consegna porta a porta di vari stupefacenti, Sharon detta Sharo, a contatto con un mondo annoiato, viziato e prepotente, cambia rotta e diventa La Svedese. E fascino e senso spietato degli affari si fondono nella sua ammaliante bellezza».
Francesco Mannoni, «Il Mattino»
«Impossibile non affezionarsi alla protagonista dell'ultimo noir del magistrato che scrive i best seller criminali più raffinati: Sharon detta Sharo è una donna magnetica che sa ottenere rispetto. Anche dalla mala romana».
«Vanity Fair»
Il suo primo libro, Le mie poesie non cambieranno il mondo, era arrivato in Einaudi proposto da Elsa Morante. Con l’orecchio fine che aveva, Elsa si era accorta subito che quella sua giovane amica aveva un talento poetico non comune. Il libro venne pubblicato nel 1974 e piacque molto a Giulio Einaudi che da lì in avanti stimò sempre l’autrice e ne divenne amico.
I libri successivi sarebbero arrivati regolarmente ma con cadenze estremamente rallentate, per non forzare l’ispirazione (il sarcasmo di Cavalli contro i «poeti professionisti» era proverbiale) e per alimentare la leggenda della sua pigrizia. A parte gli undici anni tra il secondo e il terzo libro (Il cielo, 1981; la raccolta fino ad allora complessiva Poesie, 1992), tutti gli altri intervalli tra una raccolta di poesia e la successiva sono di sette anni. Questo ritmo «presidenziale» è stato tenuto regolarmente fino a Vita meravigliosa di due anni fa, che purtroppo resterà la sua ultima opera. Tutti i suoi libri sono attraversati dalla stessa geniale mescolanza di profondità e nonchalance. Anche nelle sue performance che riempivano i teatri, leggeva i suoi versi come buttandoli via, il contrario di qualsiasi enfasi retorica. E però non li buttava via per niente: la metrica, la musicalità, le rime improvvise, le chiusure aforistiche spiazzanti, tutto era calibrato sotto l’apparente noncuranza.
Nei suoi libri si snoda un canzoniere amoroso tutto centrato sul corpo, sui suoi ritmi, sugli impulsi ormonali e delle stagioni, sui sensi più che sul sentimento. Ma intorno a questo nucleo erotico c’è un continuo divagare, quasi un avvicinarsi e un ritrarsi continuamente al e dal fuoco di un enigma. Le poesie di Patrizia Cavalli hanno saputo affascinare gli intellettuali e i critici più raffinati (Agamben, Berardinelli…) ma anche il pubblico più ampio, che la idolatrava come una pop star. E questa è la capacità polisemica dei grandi. Quella di Patrizia Cavalli è stata, e continuerà a essere attraverso i suoi libri, una delle voci poetiche più importanti degli ultimi cinquant’anni, in Italia e a livello internazionale.
Ci sono autori che preferiscono frequentare il meno possibile il loro editore, altri che amano seguire da vicino la produzione e la pubblicazione del proprio libro. Poi c’era Yehoshua. Abraham non concepiva relazioni asimmetriche, non accettava un rapporto che non fosse paritario e reciproco. Se noi ci occupavamo di lui, lui doveva occuparsi di noi. Seguiva la carriera scolastica dei nostri figli ricordandone ogni dettaglio (spalleggiato dall’adorabile Ika, la moglie, che lo accompagnava sempre nei suoi viaggi), e chiedeva di vedere foto recenti dei bambini, e si scandalizzava che non ne tenessimo una aggiornata nel portafoglio. Conservo, come credo altri miei colleghi, i suoi fax di saluti e felicitazioni per le occasioni più disparate, messaggi scritti a mano in grossi e tremolanti caratteri stampatello, le linee che si inclinavano sempre di più nella pagina come a voler riacquistare la giusta direzione di scrittura, quella ebraica da destra verso sinistra. Non si stancava di interrogarci sulle ragioni del suo successo in Italia, e si era convinto che la centralità delle tematiche familiari nella sua narrativa avesse trovato qui una terra d’elezione, un terreno fertile. Ma “trattandosi di una storia d’amore, è meglio non approfondirne troppo le ragioni”, aggiungeva saggiamente nella postfazione scritta per il volume di Tutti i racconti. Anche l’Einaudi per lui era una grande famiglia, un ramo genealogico misteriosamente legato al suo, e si stupiva che i suoi componenti non si frequentassero di più al di fuori dell’ufficio. Ogni tanto, pressato dalle sue domande, inventavo le destinazioni vacanziere dei miei colleghi, anche se non avevo alcuna idea di dove passassero il mese di agosto.
Era nato a Gerusalemme nel 1936, dodici anni prima della fondazione dello Stato d’Israele. La sua famiglia viveva in Palestina da cinque generazioni, si sentiva figlio di quella terra, ma l’origine sefardita e mediorientale non legittimava in lui alcun miope nazionalismo, anzi, lo spronava nel suo impegno sincero e generoso per la pace. Considerava l’impegno politico, nel senso più alto della parola, inscindibile dalla pratica letteraria. La sua fiducia che la letteratura potesse e dovesse incidere sulla realtà provocava talvolta animate discussioni con gli altri scrittori, quando veniva in Europa. Yehoshua non concepiva la possibilità di una letteratura senza impegno, non accettava l’idea che uno scrittore fosse responsabile soltanto nei confronti del proprio lavoro, della parola scritta. Non solo, sottolineava anche la necessità che la letteratura tornasse ad affrontare i temi etici che il postmoderno e le avanguardie avevano messo da parte. Il signor Mani, che Yehoshua considerava il suo libro più importante e profondo, utilizzava un’innovazione formale fondamentale per capire la sua poetica: nelle sue parole si trattava di “un dialogo a senso unico, vale a dire un dialogo in cui si sente la voce di un solo interlocutore (che afferma e rivolge domande), mentre sta al lettore intuire le risposte dell’altro destinatario”. I lettori del libro si rendono conto fin dall’inizio che questo “dialogo a senso unico” non fa che enfatizzare il desiderio, la preghiera di una risposta, forse proprio dal lettore. Nel coinvolgimento assiduo del lettore, nell’insistenza sul ruolo chiave giocato dalla lettura, Yehoshua mostra di aver superato la lezione dei maestri modernisti. E, più in generale, la ricerca di un dialogo con l’Altro è il tema cruciale di tutta la sua opera. Come nella Sposa liberata, dove l’andirivieni continuo del protagonista dai territori palestinesi diventa figura dei confini che ci separano dal familiare e dall’estraneo, e che dobbiamo imparare ad attraversare se vogliamo uscire dal “labirinto dell’identità”. O come nel Responsabile delle risorse umane, in cui il viaggio per riportare nel paese natale il corpo di una donna straniera, morta in un attentato a Gerusalemme, si trasforma in un percorso di scoperta di sé e di assunzione di responsabilità. Per vincere il gelo che sembra sceso sul mondo.
Andrea Canobbio
I cinque Tony Award che hanno premiato l’allestimento americano di Lehman Trilogy con la regia di Sam Mendes sono stati motivo di felicità e orgoglio per Stefano Massini e per tutto il teatro italiano, che non aveva mai ricevuto un riconoscimento simile oltreoceano.
Ma i Tony Awards sono arrivati a coronare a livello internazionale un testo teatrale che ha avuto in Italia e in Europa una lunga storia di memorabili messe in scena, di successi e di premi.
Scritto da Massini negli anni 2009-2012, la Lehman Trilogy viene messa in scena in Francia nel 2013 dalla Comédie de Saint-Etienne e dal Théatre du Rond-Point.
Segnalato da Gianandrea Piccioli, il testo arriva in Einaudi dove viene subito apprezzato e pubblicato nel 2014 nella “Collezione di teatro” con una prefazione di Luca Ronconi. Pochi mesi dopo, Ronconi inizia le prove di quella che purtroppo sarà la sua ultima regia. Lo spettacolo debutta al Piccolo Teatro di Milano alla fine di gennaio 2015 con Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Massimo Popolizio, Paolo Pierobon: ha un enorme successo e fa incetta di premi Ubu. Nell’autunno dello stesso anno Rai 5 trasmette lo spettacolo in televisione e replica più volte la messa in onda.
A quel punto le traduzioni e messe in scena all’estero non si contano: Germania, Belgio, Danimarca, Canada, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Bulgaria e altre ancora.
In Inghilterra lo spettacolo debutta nel luglio 2018 al Royal National Theatre di Londra con la regia di Sam Mendes e un cast con Simon Russell Beale, Ben Miles e Adam Godley. L’anno seguente, con lo stesso cast, l’allestimento si trasferisce a New York dove viene replicato per circa otto mesi, quattro dei quali a Broadway.
Ecco, i cinque Tony Awards sono una splendida soddisfazione ma non sono arrivati all’improvviso o per caso. Lehman Trilogy è senz’altro il testo che ha caratterizzato il teatro italiano e internazionale dell’ultimo decennio. Il modo di raccontare così apparentemente poco teatrale, i personaggi indimenticabili, le riflessioni sul capitalismo nelle sue varie fasi, la sensibilità linguistica e plurilinguistica di Massini, tutto questo ha concorso a fere di Lehman Trilogy un capolavoro. Ed è bello che su questa base siano arrivati anche i più prestigiosi e meritatissimi premi.
Bravo Stefano!
Mercoledì 8 giugno, in diretta streaming su RaiPlay dal Teatro Romano di Benevento, sono stati annunciati i libri finalisti del Premio Strega 2022. Tra i titoli sono presenti due Supercoralli:
- Spatriati di Mario Desiati, che ha ottenuto il maggior numero di voti durante la serata, 244;
- Niente di vero di Veronica Raimo, già vincitore della IX Edizione del Premio Strega Giovani.
Il vincitore sarà annunciato giovedì 7 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma in diretta televisiva su Rai Tre, per la conduzione di Geppi Cucciari.
Gli altri finalisti:
Claudio Piersanti, Quel maledetto Vronskij (Rizzoli)
Marco Amerighi, Randagi (Bollati Boringhieri)
Fabio Bacà, Nova (Adelphi)
Alessandra Carati, E poi saremo salvi (Mondadori)
Veronica Galletta, Nina sull’argine, (minimum fax)
Il protagonista di Così per sempre di Chiara Valerio è il conte Dracula. Oggi si fa chiamare Giacomo Koch, si è trasferito a Roma e lavora come anatomopatologo all’ospedale Fatebenefratelli. Anche Mina Harker, la donna a causa della quale stava per essere ucciso, è un vampiro, ora si chiama Mina Monroy e abita a Venezia. Poi c’è Zibetto, il loro gatto, che può arrampicarsi per dieci piani e porta alle zampe anteriori due vistosi anelli d’oro, per l’esattezza due fedi nuziali.
Attraversando la grande stagione delle scienze, Giacomo ha capito molte cose. La prima è che tutto ciò che scorre è nutrimento, non solo il sangue, per quanto il sangue umano rappresenti ancora il suo cibo preferito. Ha capito che non si può vincere la nostalgia per i prodigiosi limiti dei viventi, e che grazie alla forza di gravità ogni uomo e ogni donna contengono l’universo.
Mina, invece, vuole solo vendicarsi di Dracula, distruggendo la sua unica vera grande passione: gli esseri umani. Ha vissuto gli ultimi sessant’anni insieme a una donna che il Conte ha ucciso – come, in effetti, ha ucciso tutti gli amori della sua vita. Decide, nella Venezia dove tutto scorre, di aprire un salone di bellezza in cui il tempo non scorra più. Dal salone di Mina chiunque entri uscirà uguale a se stesso. Per sempre…
«Nel romanzo il desiderio di restituire la realtà è visibile anche nella ricerca miniaturista delle geografie e dei particolari storici […] Mi piace che abbia un gatto, una creatura tipicamente fantasy, perché è un animale da soglia, continuamente tra il dentro e il fuori. L'unico modo per addomesticare un gatto è lasciare la porta aperta. Questo libro qui somiglia a un gatto perché fa la stessa cosa: reale e irreale hanno come soglia la letteratura che consente loro di stare lì entrambi» (Michela Murgia, «L’Espresso»).
«Diciamo subito che Così per sempre è un libro che somiglia ai suoi protagonisti: antico e moderno insieme, nonché candidato alla longevità, visto il modo in cui riesce a coniugare letterario e popolare, classico e innovazione, scienza e magia […] Dentro, c'è il gusto per le storie d'avventura di un’adolescente che freme, l'intreccio fra lettere e scienze pure che caratterizza la scrittrice adulta, la sua prosa fiume — frasi lunghissime, che però atterrano sempre in piedi, come Zibetto — e, da qualche parte, la spavalderia di un’esordiente. È la sua carriera, il vero vampiro di questo romanzo: distillate in un unico testo, ci sono tutte le anime di una delle autrici più ardite e poliedriche del nostro panorama culturale. Così da sempre» (Nicola H. Cosentino, «la Lettura – Corriere della Sera»).
«Dracula – al secolo Giacomo Koch – danza tra l’Italia di oggi e i tempi passati con la leggera disinvoltura, l’aplomb, che ci si attende da qualcuno per cui il tempo e lo spazio non significano molto […] Alla fine della lettura ci si è così affezionati a questo Dracula contemporaneo, quasi vegetariano, amante della scienza, delle piante e della psicoanalisi e che invece di giacere in un loculo riposa insieme alle radici delle piante, che siamo pronti a perdonargli tutto. Anche di essere immortale» (Stefano Mancuso, «la Repubblica»).
Così per sempre «oltre a essere il più sfacciato e riuscito tentativo di tornare al romanzo tradizionale di tutto il postmodernismo italiano, è anche un attacco frontale, gentile e spietato, alle tradizioni che informano l'Italia e la sua cultura, anche romanzesca. È un romanzo queer, l'ho detto, ma non perché racconti una vicenda di gente queer [...] Sfuma i confini tra le cose, superando le distinzioni cartesiane tra bestie e persone, organico e inorganico, eternità e immortalità. Ci rivela che non è macabro, in fondo, sentirci meno estranei a noi stessi quando ci riteniamo morti» (Alessandro Giammei, «Domani»).
Perché confrontarsi con un grande classico come il conte Dracula? «Perché ero ossessionata da lui da quando ero bambina. E perché questo è il libro che volevo scrivere da sempre, ma sapevo che prima ce ne dovevano essere altri, per allenarmi. Inoltre, perché grazie a Dracula posso indagare sul rapporto tra specie e natura» (Chiara Valerio intervistata da Loredana Lipperini, «il venerdì - la Repubblica»).
Veronica Raimo è la vincitrice della IX Edizione del Premio Strega Giovani con Niente di vero, uscito il 1° febbraio nei Supercoralli. Ad annunciarlo è stato Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione, durante la cerimonia che si è svolta il 7 giugno al Pala Studio di Cinecittà. Giuseppe D’Avino, presidente di Strega Alberti Benevento, ha consegnato il premio.
Niente di vero è stato il libro più votato da una giuria di ragazze e ragazzi tra i 16 e i 18 anni provenienti da oltre 100 scuole secondarie superiori distribuite in Italia e all’estero (Berlino, Bruxelles, Parigi).
Il vicequestore Giovanna, detta Vanina, Guarrasi è stata trasferita alla mobile di Catania a 39 anni. A Palermo, la sua città, lascia il ricordo di suo padre, ucciso dalla mafia, e un amore doloroso.
Tra queste due città si svolgono i romanzi che la vedono protagonista: storie di indagini che mettono alla prova «l'acume, la tenacia e la fantasia di una grande poliziotta». Sullo sfondo di queste indagini si staglia l’immagine di una Sicilia viva, con tutte le sue bellezze e le sue contraddizioni.
Nella mappa qui sotto potete esplorare e scoprire alcuni dei luoghi più iconici delle storie di Cristina Cassar Scalia. Utile anche per le vostre vacanze a tema letterario.