L’arte di legare le persone
«In questo libro che sembra una preghiera umanissima all'amore verso di sé, Paolo Milone muove tutta l'umanità e l'intimità di un medico che vive tenendo tra le mani il dolore degli altri...»
Annalena Benini...
Dal 26 aprile debutta «beginners», il nuovo appuntamento in diretta su Facebook e sul canale YouTube della Casa editrice, ogni lunedì alle 18.30. I nuovi esordienti Einaudi, presentati dall'editor che ha lavorato con loro sin dalle prime bozze, dialogheranno con autori e autrici già affermati che hanno particolarmente apprezzato il libro.
Un progetto per costruire e raccontare il futuro della Casa editrice, un'iniziativa dedicata alle nuove voci del nostro catalogo.
«Proprio chi ha una storia come la nostra è più votato a pensare al domani, a costruire il futuro.
E cos'è il futuro di una casa editrice se non i propri esordienti, chi comincia la propria carriera, chi inizia?
È per loro, e per il nostro futuro, che abbiamo ideato “beginners”».
Ernesto Franco, direttore editoriale
Ecco i primi «beginners»:
- Lunedì 26 aprile Paolo Milone (L’arte di legare le persone) con Marco Missiroli e Paola Gallo.
- Lunedì 3 maggio (Il venditore di rose) Dario Sardelli con Serena Dandini e Francesco Colombo.
- A seguire: Stefano De Bellis ed Edgardo Fiorillo, Martina Merletti e Nicoletta Verna…
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Tomaso Montanari vince la X edizione del Premio De Sanctis per il Saggio breve con L'ora d'arte, uscito nel 2019 nei Super ET.
La giuria, nelle parole di Elisabetta Rasy, motiva così il premio:
«Studioso di lungo corso, docente di storia dell’arte all’università per stranieri di Siena, audace polemista in difesa del nostro patrimonio culturale paesaggistico, Tomaso Montanari, nel libro L’ora d’arte, sembra distanziarsi dalle sue radicate competenze per abbandonarsi a quello che a lui stesso appare, nelle parole che introducono il volume, una sorta di “estro anarchico”. Non è così e più che mai brilla in quest’opera la vasta conoscenza che ha l’autore del variegato, incantatore e anche accidentato territorio dell’arte. […] Più volte troviamo citato in questo libro, come ne fosse il più saldo ispiratore, quell’articolo della costituzione che ci invita, e soprattutto obbliga, a difendere il patrimonio storico e artistico della nazione. Con questi scritti, veri e propri lampeggianti gioielli di quella forma letteraria difficile che è il saggio breve, in cui lo stile intreccia conoscenza e immaginazione, Montanari ci invita, prima ancora che a difenderlo, ad amarlo, a sentirlo come qualcosa di personale e necessario, senza il quale vacilla la nostra stessa idea di comunità nazionale».
A febbraio è uscito, sempre nei Super ET, anche La seconda ora d’arte. L’autore accompagna il lettore tra le strade del bello, dove alto e basso si mescolano, dove contemporaneo e classico sono parte di un unico grande discorso, che parte dalle mani impresse sulla roccia in una caverna e arriva a Banksy, passando per Raffaello, Monet, Pellizza da Volpedo e Rothko.
L’autore «ci offre un nuovo gioiello, particolarmente prezioso in questo difficile momento. C'invita "alla scoperta di cento opere fondamentali, per imparare attraverso la bellezza a essere persone più umane e cittadini più consapevoli". In realtà, non si tratta solo di bellezza ma di un concetto ancora più misterioso. L'arte, secondo Montanari, è qualcosa che "tutti siamo fatti per amare"» (Vanja Luksic, «Internazionale»).
Il professore, in queste pagine agili e appassionanti, traccia una possibile via per un’educazione artistica che sia anche educazione sentimentale e civica. La seconda ora d’arte è un viaggio fra passato e presente che «ci restituisce un poema umanissimo e universale, dove l'arte rinnova il suo compito: scuotere le coscienza ed educare alla bellezza» (Chiara Gatti, «il venerdí – la Repubblica»).
Menzione Speciale della Giuria al Premio Calvino 2020, Il valore affettivo è il libro d’esordio di Nicoletta Verna. L’autrice scrive un indimenticabile romanzo familiare, nel quale una giovane donna cerca ostinatamente una forma di redenzione.
L'esistenza di Bianca si è sbriciolata il giorno in cui, da bambina, ha perduto sua sorella. Stella era pura, onesta, e manteneva le promesse. Ecco perché la sua scomparsa ha macchiato il mondo di colpa. L’incidente dai contorni incerti ha innescato nella sua vita una reazione a catena, che non ha risparmiato nulla. Oggi sta con Carlo, cardiochirurgo di fama internazionale, e all’apparenza lo venera. Ma tanta devozione, in realtà, nasconde un piano macchinoso, folle: un progetto di rinascita in cui l’uomo è un mero strumento.
Il valore affettivo sta ricevendo una straordinaria accoglienza da parte della critica. Ecco alcuni estratti:
«E voi dove li sotterrate i ricordi tossici, le scorie emotive, i giorni da dimenticare? Bianca, la protagonista di Il valore affettivo, splendido esordio di Nicoletta Verna, ha sviluppato una speciale sensibilità per sbarazzarsi dei rifiuti, elevando la raccolta differenziata a certosina regola di vita. Anche se, di quello che le fa più male, non può e non potrà forse mai liberarsi. E quel dolore sordo e continuo, come un giro di basso della sua esistenza, ha radici lontane che affondano nell'infanzia. La scomparsa della amatissima sorella maggiore, Stella, che fa deflagrare l'intero nucleo familiare come un bicchiere di cristallo sotto una pressa. E le sue schegge restano infitte nel cuore di ciascuno. […] Noi restiamo al suo fianco ad ogni passo, per scoprire insieme a lei che quello che ci resta, alla fine, è solo quello che non abbiamo voluto lasciare andare».
Viola Ardone, «tuttolibri – La Stampa»
«Nicoletta Verna ha scritto un romanzo familiare di rara intensità che affonda nell'enigma di un sentimento di colpa senza redenzione. La storia è narrata con una lingua limpida, semplice eppure pregnante, arricchita da accostamenti imprevedibili, repentini scarti di senso che gettano sugli eventi un'illuminante luce obliqua».
Corrado Augias, «il venerdì – la Repubblica»
«C'è una coerenza navigata nella struttura. La prosa asciutta e solida non ha mai le incertezze di un'opera prima. Quando Stella muore (solo nelle ultime pagine scopriremo la verità sulla "disgrazia"), la sua famiglia si disgrega. Il padre non sopporta l'affossarsi psichico della moglie e dalla Brianza fugge in Svizzera. Bianca, che per natura è bellissima, fa la starlette in tivù con radicale indifferenza rispetto al proprio ruolo. Poi incontra il cardiochirurgo Carlo e lo seduce in vista di un progetto. Lo prende in pieno con la sua acquiescenza poiché lo percepisce come un ottimo patrimonio genetico. Per connettersi a Carlo e imprigionarne l'utilità del seme, Bianca si trasferisce a Roma. Gli sta accanto per rendersi madre di una nuova Stella che potrebbe riparare l'enormità del danno commesso o subito.
Nel frattempo la sua espiazione si concentra sul controllo dei rifiuti. In lei l'anestesia delle emozioni si proietta nel differenziare ciò che converge nelle più ripugnanti spazzature. Il quadro dettagliato di questa sua maniacalità è l'elemento più visionario e originale del racconto. Ha un effetto forte, sul lettore, contemplare una fata lussuosa che s'infila nei cassonetti. […] C’è molta spiritualità compressa nel suo povero e meraviglioso corpo senza pace».
Leonetta Bentivoglio, «Robinson – la Repubblica»
«Bianca e il suo passato famigliare da buttare, come tutti i rifiuti che si ostina a catalogare con perizia ossessiva. Ossessivo è pure il tentativo divorante di dare una ricostruzione alla morte inaspettata della sorella, deflagrante per tutta la famiglia. Bianca fa coppia con Carlo ora, cardiochirurgo stimato, per lei solo un tassello prezioso per un suo distorto piano di resurrezione. Tutto è scoria. Tutto è da buttare. Solo quel progetto può restituirle la vita. Questo romanzo d’esordio è una bomba. Bum! “Non è che fossi triste: quello che sentivo non era il contrario della felicità, era il contrario della vita”».
Luciana Littizzetto, link
«Una giovane e bellissima donna oppressa dai sensi di colpa per la morte della sorella, e con un piano folle per farla rivivere. È il romanzo sorprendente di Nicoletta Verna. Che si fa fatica a ritenere un esordio».
Francesca Marani, «il venerdì – la Repubblica»
«Il libro di esordio di Nicoletta Verna, Il valore affettivo, pubblicato da Einaudi, ha una grande strada davanti. Perché si affaccia al mondo editoriale con sapienza, menzionato in un prestigioso premio letterario, e perché pare uscire da una penna che controlla perfettamente trama e personaggi. È una storia molto toccante, quella di Bianca, che ha perduto da piccina la sorella e ci accompagna lungo due traiettorie: la vita che le accade, con una Roma bella, fatta di terrazze e vino buono, in cui vive con suo marito Carlo, famoso cardiochirurgo, e una traccia sotterranea che si svela a poco a poco e che racconta sia della tragedia infantile sia di un proposito da compiersi».
Valeria Parrella, «Grazia»
Dopo il grande successo di Resto qui, Marco Balzano torna con un racconto profondo e tesissimo di destini che ci riguardano da vicino, ma che spesso preferiamo non vedere. Quelli di chi va e quelli di chi resta.
Daniela se n'è andata lasciando solo poche righe per spiegare la sua partenza; sa che il marito e soprattutto i figli non avrebbero capito, ma sa anche che quello strappo è necessario per garantire un futuro alla famiglia. Parte per Milano come tante altre donne rumene, a fare di volta in volta la badante, la baby-sitter, l’infermiera… e quella che doveva essere un’esperienza fugace diventa una seconda vita, e i ritorni a casa si fanno sempre più rari.
Quando tornerò è «una storia che conosciamo, che spesso ha attraversato casa nostra senza che facessimo mai troppe domande. Marco Balzano ha scritto il romanzo sulle domande mai fatte. Sulla tremenda prova di forza di madri che si caricano sulle spalle il destino della famiglia, e per salvarla vanno via, a curare altri dolori in altre famiglie, in altre lingue e quindi in silenzio» (Annalena Benini, «Il Foglio»).
A narrare questa storia sono Daniela e i suoi figli, Manuel e Angelica. Tre voci – nostalgiche, arrabbiate, profondamente umane - che aprono uno squarcio sulla complessa realtà della lontananza, dei vuoti affettivi, degli slanci d’amore e dell’abbandono.
In una bellissima conversazione con Elizabeth Strout su «la Lettura», Marco Balzano ammette che «la madre è un "luogo" in cui ritorno in modo insistente, credo che sia inevitabile. Il rapporto con la madre nasce sempre come un'unità e finisce sempre con un distacco. La madre è destinata a diventare uno strappo e dunque in qualche misura una delusione o una nostalgia per una relazione che non sarà mai più completa».
Quelle che l’autore racconta sono storie di vite che, se non ci fosse qualcuno a raccoglierle, resterebbero impigliate nel silenzio. «Solitudini e dolori, stereotipi, scatti d'ira e slanci d'affetto, rabbiosi come il bisogno da cui nascono, rimbalzano da un Paese all'altro, dall'Est Europa all'Italia cambiando, a tratti e solo per un attimo, le sorti delle persone. Come il vecchio Giovanni che a seconda di come gli gira la chiama "bella gioia o puttana di una rumena". Come Elena con cui una volta i ruoli si invertono e per un giorno è lei a curare la badante immobilizzata dal mal di schiena. Balzano registra quei gesti e quelle parole, quelle inversioni. Come un piccolo, inesorabile archivista della contemporaneità setaccia il presente e si incarica ancora una volta di raccogliere frammenti di umanità, di salvare dagli ingranaggi del sistema persone, scelte e destini» (Cristina Taglietti, «Corriere della Sera»).
«L'immagine di Enea che porta sulle spalle Anchise, il padre ormai anziano, non ci descrive più. Quel gesto da un po' di tempo lo compie qualcun altro. Non è una responsabilità e nemmeno una critica – tutti elementi che a un narratore interessano poco – ma un cambiamento di cui, per una serie di ragioni profonde che forse hanno a che fare con il pudore, il senso di colpa, l'amore stesso, non abbiamo ancora parlato a sufficienza. In quell'immagine di Enea, sostituito da una persona che non ha legami di sangue col vecchio appoggiato sulle sue spalle, si nasconde un dato ancora da rivelare e che per essere messo meglio a fuoco va ripetuto: queste donne sono madri» (Marco Balzano, «L’Espresso»).