Mese: marzo 2021
Il 25 marzo è la data che «gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia, e sarà l’occasione per ricordare in tutta Italia e nel mondo il genio di Dante, con tante iniziative, anche on line, organizzate dalle scuole, dagli studenti e dalle istituzioni culturali. L'edizione del 2021 è anche più significativa perché avviene nel settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta» (Ministero della Cultura, link).
Di seguito i più recenti libri «danteschi» della Casa editrice:
Il convenzionale intreccio della figura pubblica e privata di Dante con la sua opera e il contesto storico e culturale dell’Italia tra Due e Trecento ha favorito in passato non poche ingenuità metodologiche e comode semplificazioni che questa nuova vita di Dante evita accuratamente. Combinando, in un linguaggio chiaro e accessibile a un pubblico di lettori non specialisti, le acquisizioni piú recenti con gli esiti di ricerche personali e di prima mano, Paolo Pellegrini propone sostanziose novità rispetto alle biografie precedenti. Sia nella scrupolosa ricostruzione dell’esistenza del poeta, sia nell’attenta analisi della tradizione testuale, della cronologia e della stesura delle opere, che passa i piú recenti contributi della medievistica moderna al vaglio della migliore filologia novecentesca. Al tempo stesso, attraverso una piú solida selezione puntuale della bibliografia dantesca, il saggio intende offrire alle generazioni di studiosi piú giovani o ai semplici appassionati un’indicazione di metodo che potrà essere messa a frutto per ulteriori e future ricerche.
Gli appuntamenti:
Martedì 23 marzo, h. 17.00 - Pupi Avati dialoga con Paolo Pellegrini (Università di Verona) sul film che porterà in televisione la vita di Dante Alighieri e sulla biografia del poeta recentemente pubblicata da Einaudi. Modera l’incontro la giornalista Elisa Innocenti. Canale Youtube dell'università: https://www.youtube.com/user/UniVerona
Giovedì 25 marzo, h. 17.30 - Dibattito tra il dantista Zygmunt G. Barański (Cambridge University - University of Notre Dame) e il filologo Paolo Pellegrini (Università di Verona), autore del recentissimo libro Dante Alighieri. Una vita(Einaudi). La presentazione del volume è occasione per i due studiosi di confrontarsi sulle più recenti ricostruzioni biografiche del Sommo Poeta, sul rapporto di Dante con la realtà storica e culturale del Medioevo, sulla necessità di coniugare le esigenze della ricerca scientifica e quelle dell'alta divulgazione. Presenta l’incontro l’assessore alla cultura Francesca Briani. Comune di Verona: https://www.youtube.com/channel/UCqKjQsEWI1Eryu-Omq4i_KQ
Dagli amanti clandestini Paolo e Francesca al goloso Ciacco, dall’eretico Farinata degli Uberti a Ulisse, fino al terribile Lucifero: per ritrovare la strada perduta Dante deve scendere nell’abisso infernale e penetrare il mistero dei limiti di ogni essere umano. Per seguire la Comedia passo a passo, Roberto Mercuri ha costruito un’organizzazione degli apparati di ogni singolo canto che aiuta il lettore a entrare nel mondo trinitario e tripartito descritto da Dante: un brevissimo riassunto che presenta, oltre a quanto accadrà, gli uomini e le donne che si incontreranno; un commento approfondito sulla struttura del canto, sui personaggi, sulle allegorie, sui nodi di senso piú oscuri e problematici; le note a piè di pagina, puntuali ed esplicative del testo.
L’ascesa lenta e pensosa lungo il monte dei sette vizi capitali, in quel «regno di mezzo», di rigenerazione e rinascita, dove abitano anime imperfette, che non sono riuscite a vincere le passioni nefaste. Come Dante, come ciascuno di noi. Per seguire la Comedia passo a passo, Roberto Mercuri ha costruito un’organizzazione degli apparati di ogni singolo canto che aiuta il lettore a entrare nel mondo trinitario e tripartito descritto da Dante: un brevissimo riassunto che presenta, oltre a quanto accadrà, gli uomini e le donne che si incontreranno; un commento approfondito sulla struttura del canto, sui personaggi, sulle allegorie, sui nodi di senso piú oscuri e problematici; le note a piè di pagina, puntuali ed esplicative del testo.
Il picco piú alto, originale e rivoluzionario del viaggio dantesco attraverso i nove cieli del Paradiso. Qui la parola si eleva fino al punto di farsi preghiera, di mostrare ciò che non può essere visto, di dire ciò che non può essere detto. Per seguire la Comedia passo a passo, Roberto Mercuri ha costruito un’organizzazione degli apparati di ogni singolo canto che aiuta il lettore a entrare nel mondo trinitario e tripartito descritto da Dante: un brevissimo riassunto che presenta, oltre a quanto accadrà, gli uomini e le donne che si incontreranno; un commento approfondito sulla struttura del canto, sui personaggi, sulle allegorie, sui nodi di senso piú oscuri e problematici; le note a piè di pagina, puntuali ed esplicative del testo.
Fra i dodici libri candidati alla LXXV edizione del Premio Strega c’è Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio, uscito a novembre del 2020 nei Supercoralli.
Il Comitato direttivo del Premio – composto da Pietro Abate, Valeria Della Valle, Giuseppe D’Avino, Ernesto Ferrero, Alberto Foschini, Paolo Giordano, Helena Janeczek, Melania G. Mazzucco, Gabriele Pedullà, Stefano Petrocchi, Marino Sinibaldi e Giovanni Solimine – ha scelto tra i sessantadue titoli di narrativa proposti quest’anno dagli Amici della domenica.
La cinquina finalista verrà annunciata giovedì 10 giugno, mentre l’elezione del vincitore si svolgerà giovedì 8 luglio.
Qui alcuni estratti dell’eccezionale rassegna stampa di Borgo Sud.
Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male. Stai zitta di Michela Murgia, autrice da sempre attenta al tema della donna, è uno strumento che evidenzia il legame mortificante che esiste tra le ingiustizie che viviamo e le parole che sentiamo. Un libro militante, «il disvelamento feroce del sessismo nel nostro linguaggio in 112 pagine dense, ironiche, implacabili e attraverso dieci espressioni che raccontano, anzi denudano i meccanismi di potere (maschile) che in quelle parole si manifestano» (Maria Novella De Luca, «la Repubblica»).
Anche Michela Murgia si è sentita gridare «stai zitta» da un noto psichiatra contraddetto in radio durante un’intervista, eppure, per stessa ammissione dell’autrice, «ho perso il conto delle volte in cui qualcuno mi ha detto che le battaglie sul linguaggio sono marginali e che, con tutto quello per cui occorre ancora lottare, è fuorviante e persino dannoso andare a fare pignolerie proprio sulle parole. Il sottinteso è che le parole non contino niente e forse è per questo che in troppi le usano senza prendersene mai la responsabilità. Sottovalutare i nomi delle cose è l'errore peggiore di questo nostro tempo, che vive molte tragedie, ma soprattutto quella semantica, che è una tragedia etica» (Michela Murgia, «Vanity Fair»).
Per ogni diretto negato alle donne a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. «Celebre scrittrice, e tra le figure intellettuali di riferimento nel mondo della cultura italiana, Michela Murgia affronta con eleganza, brio e intelligenza quel legame sottile e mortificante che da sempre esiste, per le donne, tra le ingiustizie che vivono e le parole che le descrivono o con le quali ci si rivolge loro. In un universo in cui sono quasi sempre i maschi che hanno la possibilità di esprimersi in televisione, alla radio o sui giornali – come se solo i filosofi, gli scrittori, i giornalisti e i politici fossero in grado di avere risposte di fronte alle complessità del mondo – le filosofe, le scrittrici, le giornaliste e le politiche che si azzardano a prendere la parola vengono sistematicamente trattate come saccenti, maestrine, isteriche, talvolta persino galline. E se c'è chi, forse più educato di altri, riesce a trattenersi, è raro, anzi rarissimo, che una professoressa ordinaria non sia definita "dottoressa" o che un'avvocata non sia ridotta a "signorina" o "signora"» (Michela Marzano, «La Stampa»).
«Silenzio, Stai zitta! Lo sentiamo fin da bambine. Perché ancora oggi, nella nostra società maschilista, la cosa più intollerabile è che le donne prendano parola per affermare le proprie idee. Lo spiega bene Michela Murgia nel suo ultimo libro. Non facciamoci mai zittire!» (Laura Boldrini, link)
Francesca Mannocchi, giornalista abituata a essere nei luoghi di guerra, deve all'improvviso affrontare il tradimento del suo corpo: una mattina, svegliandosi a Palermo dove si era recata per un'inchiesta, si accorge che non reagisce più agli stimoli. È il primo segnale della sclerosi multipla, una malattia definita disabilitante, recidiva e remittente. Non si sa quando arriveranno le ricadute e quanto dureranno le tregue. Tutto è potenziale.
«È in un certo senso un reportage di guerra, di una guerra che ha per territorio il corpo e la storia dell'autrice, messi in discussione, auscultati, riletti. Due sono i principali movimenti narrativi che ne conseguono: da un lato il percorso riluttante, ma necessario, per addomesticare l'universo della medicalizzazione, a partire dal linguaggio stesso con cui si esprime, mai fedele al sentire di chi è ammalato; dall'altro la ricerca del senso che sottopone a uno scandaglio spietato il passato e il presente dell'autrice» (Alessandra Sarchi, «la Lettura – Corriere della Sera»).
In questo libro l’autrice racconta se stessa ma anche la fragilità dell'essere umano abbandonato dal suo corpo, dalle sue abitudini, dalle sue certezze. Descrive come è il suo essere madre, figlia, compagna attraverso lo schermo della malattia senza perdere il suo amore verso la vita: «È un libro che resta e batte nella testa, questo, come un tamburo. […] Scansare l'ipocrisia. Scegliere le parole acuminate, non avere paura di dire cosa sia la paura — di essere madre, di essere figlia, di non essere amata, di morire. Di non essere vista nel tempo che è dato senza mai perdere, però, l'amore e il rispetto per la bellezza. Per la poesia, per il mare, per un bambino che ti guarda anche quando non vuoi. Per un mazzo di tulipani bianchi quando è perfetto, sul punto di sfiorire» (Concita De Gregorio, «la Repubblica»).
Libro bellissimo, potente, in cui la scoperta della fragilità è un viaggio verso la vera forza. Jovanotti
Bianco è il colore del danno è nato da un articolo che Mannocchi scrisse per L'Espresso; per la prima volta parlò pubblicamente del suo male, pensando che riflettere in prima persona sul valore dell'accesso alla cura, i costi, gli ospedali potesse magari essere utile a chi viveva la stessa situazione: «Tutte cose con cui anche io all'improvviso mi sono trovata a fare i conti. E non sei mai preparato. Ma poi i pensieri si sono moltiplicati, ho capito che questa malattia aveva completamente scomposto la mia vita per come me la ricordavo. Cambiava tutto. Sia nella percezione che hai del tempo, che non ti appartiene più, non è più una cosa su cui puoi contare. Sia nel modo in cui tu ti pensi nel mondo e in cui ti relazioni con gli altri. La cosa più difficile da accettare – riflette – è che si tratta di una patologia imprevedibile: mi sono trovata di fronte a nuovi sentimenti, come la paura di non poter correre mai più con mio figlio di quattro anni, di non sapere cosa ne sarà del mio corpo tra una settimana, di non poter fare più il lavoro che amo» (Francesca Mannocchi intervistata da Emanuela Griglié, «La Stampa»).
Mannocchi guarda il mondo attraverso la lente della malattia per rivelare, con una voce letteraria nuda, luminosa, incandescente, tutto ciò che è inconfessabile. E lo fa senza cadere «mai nella retorica trionfale del combattimento, anzi restituisce la storia complessa di una fragilità in trasformazione, presa per mano riesce addirittura a curvare lo sguardo deformante, a scostare l'angoscia di proiettarsi impossibilitata all'improvviso ad assistere alla crescita del proprio bambino, con il terrore di non poter più leggere, vedere, fare l'amore, parlare, camminare, nuotare.» (Alessandra Pigliaru, «il manifesto»).