Giulio Einaudi editore
Giorgio Agamben

Dopo A che punto siamo? (Quodlibet, 2020), pamphlet sulla pandemia che ha fatto molto discutere, torna nelle librerie Giorgio Agamben con La follia di Hölderlin. Attraverso una cronaca puntigliosa e appassionata degli anni della follia e un commento di testi che sono stati spesso considerati illeggibili, questo libro cerca di descrivere e rendere per la prima volta comprensibile una vita, che Hölderlin stesso ha definito abituale e «abitante».

Se nella prima metà della sua esistenza il poeta vive nel mondo e partecipa nella misura delle sue forze alle vicende del suo tempo, nella seconda parte Hölderlin è del tutto fuori del mondo, come se, malgrado le visite saltuarie che riceve, un muro lo separasse da ogni relazione con gli eventi esterni.

«Agamben ripercorre quel periodo oscuro dell’esistenza del poeta in una “cronaca”, che non ha dunque né l'ambizione esplicativa della storia né il limite analitico della biografia. Il cronista non distingue tra le azioni del protagonista e il suo racconto; non inventa nulla, ma non ha neppure bisogno di verificare l'autenticità delle sue fonti. Nel racconto, anzi, nella cronaca, la sua voce si coniuga con quella da cui gli è capitato di udire la vicenda narrata» (Donatella Di Cesare, «tuttolibri – La Stampa»).

Hölderlin verrà internato nella clinica psichiatrica di Tubinga: la diagnosi resterà un enigma ma gli verranno somministrati farmaci potenti, forse nocivi, non gli saranno risparmiate violenze, dalla camicia di forza a una nuova maschera facciale…

«Agamben si sofferma sulla maschera. E non è l'unico riferimento alla cronaca del periodo pandemico. Al termine dell'epilogo scrive: “Da quasi un anno vivo ogni giorno con Hòlderlin, negli ultimi mesi in una situazione di isolamento in cui non avrei mai creduto di dovermi trovare. Congedandomi ora da lui, la sua follia mi sembra del tutto innocente rispetto a quella in cui un'intera società è precipitata senza accorgersene”. Le domande allora si moltiplicano. Anzitutto: che cosa vuol dire follia? Che è folle? E poi ancora: che cosa vuol dire abitare?» (Donatella Di Cesare, «tuttolibri – La Stampa»).

Il nuovo libro di Agamben può essere valutato «come un felice approccio creativo e filosofico a una vita intesa "come figura", ovvero a un'esistenza che si pone come "punto di fuga" in cui convergono una molteplicità di fatti ed episodi, e anche le inquietudini del nostro presente. "La lezione di Hölderlin è che quale che sia lo scopo per cui siamo stati creati, non siamo stati creati per il successo, che la sorte che ci è stata assegnata è fallire in ogni arte e studio e innanzitutto nella casta arte di vivere. E, tuttavia, proprio questo fallimento se riusciamo a afferrarlo è il meglio che possiamo fare"» (Luigi Reitani, «Domenica - Il Sole 24 Ore»).

La follia di Hölderlin è già in via di traduzione in portoghese (Brasile, Ayiné), in inglese (Seagull), e spagnolo (Hidalgo).

Don Winslow

Inedito in Italia, primo dopo la serie di Neal Carey, Ultima notte a Manhattan di Don Winslow è la storia di un omicidio che è solo un tassello di un disegno più vasto, un complotto ordito da chi sa di potere tutto.

Siamo alla fine degli anni Cinquanta, Manhattan è all’apice del suo fulgore, il posto ideale per chi ha grandi ambizioni o vuole soltanto cambiare vita. Joe Keneally è un giovane senatore che mira alla presidenza. Walter Withers, invece, a New York ci è tornato. Ha lavorato a lungo per la Cia e adesso è un investigatore privato in una grande agenzia di sicurezza. Le loro parabole si intersecano quando a Withers viene chiesto di fare da scorta durante un party a Madeleine Keneally, l’affascinante e ricca moglie del senatore, la «principessa d’America» che sembra destinata a diventare First Lady. Un compito di routine, all’apparenza. Ma nello stesso albergo alloggia anche la giovane e bella amante del senatore.

«Prima o poi succede qualcosa di brutto a qualcuno di loro […]. Per arrivarci Winslow si prende il suo tempo, tutto quello che gli serve e che ci vuole, intrecciando destini e caratteri, paranoie e coincidenze, nell'atmosfera ovattata e inquietante, elegante e frenetica, appunto, di un Natale a Manhattan. Sospetti e segreti che crescono fino a scoppiare in questo noir che sembra un romanzo di spionaggio York, e si muove come un hard boiled» (Carlo Lucarelli, «Tuttolibri – La Stampa»).

Winslow ha dato vita a un romanzo emozionante: «La narrazione e lo stile di Don Winslow  che qui leggiamo nella fedele traduzione di Alfredo Colitto  sono cose che prendono e non mollano. Perché è bravo, il nostro Winslow – personalmente è uno dei miei preferiti – padrone di un mestiere così solido che fa quello che deve fare il mestiere quando è solido: non si vede» (Carlo Lucarelli, «Tuttolibri – La Stampa»).

Con Ultima notte a Manhattan Winslow «non solo si addentra nel terreno, affascinante e potenzialmente pericoloso, del fanta-noir storico. Ma lo fa abbandonando la consueta, cristallina limpidezza dello stile e della scrittura. Per calarsi in un'altra scrittura e a un altro stile, meno "classici", meno controllati, più torrenziali e anarchici: quelli tipici dei maestri dell'hardboiled, Dashiell Hammett, Raymond Chandler. O il leggermente meno raffinato Mickey Spillane, l'unico citato esplicitamente, e in più di una occasione, nel romanzo. […] Il risultato è un affresco movimentato, pieno di ritmo, dipinto con partecipazione emotiva e un pizzico di nostalgia: sentimento che ci assale dì fronte a momenti della storia irripetibili, nel bene e perfino nel male, e che ci sembra di aver vissuto anche se non c'eravamo. Un'esperienza dolceamara, che evoca le note di un sassofono jazz dell'epoca: da leggere, magari, ascoltando gli album del primo John Coltrane» (Claudia Morgoglione, «Robinson – la Repubblica»).

«Ecco, dire che Ultima notte a Manhattan mette insieme il James Ellroy di American Tabloid, l'appena compianto John Le Carré de La talpa, e anche il Raymond Chandler de II grande sonno, è inopportuno soltanto perché anche Don Winslow è un grande classico alla pari degli altri» (Carlo Lucarelli, «tuttolibri – La Stampa»).

Orwell

Dal 12 gennaio Orwell è entrato a far parte del catalogo Einaudi con due dei più importanti classici moderni della letteratura: La fattoria degli animali e 1984. La traduzione è di Marco Rossari e le copertine di Noma Bar.

«[…] E facendo un’ulteriore riflessione voglio azzardarmi a predire una nuova peculiare fortuna per la Fattoria. Recenti studi sul nostro genoma hanno dimostrato quanto abbiamo in comune con gli altri primati e mammiferi, e in particolare con i maiali (dai quali possiamo farci trapiantare pelle e organi). Ai tempi di Orwell l’idea dei diritti animali, per non parlare di quella di una liberazione animale, sarebbe sembrata sciocca o piuttosto fantasiosa, ma oggi fa parte della nostra concezione dei diritti in continua evoluzione, e appoggiandosi a molte intriganti scoperte scientifiche è una di quelle idee che porta avanti il cambiamento. Anche noi siamo «animali», e il supposto dominio sulle altre creature che ci assegna il libro della Genesi appare messo sempre piú in crisi. Anche nell’enorme dibattito che ci aspetta nel futuro, questo piccolo libro si guadagnerà probabilmente una nicchia allegorica.
Tutti gli esempi che ho portato sono connotati storicamente, ma sono certo che la Fattoria possieda anche una cifra senza tempo, quasi trascendentale».
Dalla postfazione de La Fattoria degli animali a cura di Christopher Hitchens

«C’è una fotografia, scattata intorno al 1946 a Islington, che ritrae Orwell e suo figlio adottivo, Richard Horatio Blair. Il piccolo, che all’epoca doveva avere un paio d’anni, è raggiante, risplende di un’indifesa meraviglia […] Non è difficile ipotizzare che Orwell in 1984 abbia immaginato un possibile futuro per la generazione di suo figlio, un futuro che non gli augurava ma da cui non poteva evitare di metterlo in guardia. Ma l’idea di predire un futuro inevitabile lo metteva a disagio, e restava convinto della capacità delle persone comuni di cambiare qualsiasi situazione, se solo lo avessero voluto. Ed è a quel sorriso di bambino che si deve tornare; ingenuo e radioso, frutto di una fiducia incondizionata nel fatto che il mondo, alla fine, sia buono, e che l’umana decenza, come l’amore di un genitore, debba essere sempre data per scontata. Una fiducia tanto pura che possiamo quasi immaginarci Orwell, e persino noi stessi, magari anche soltanto per un istante, giurare di fare qualsiasi cosa vada fatta per evitare che possa mai essere tradita».
Dalla postfazione di 1984 a cura di Thomas Pynchon

  • George Orwell

    1984

    Uno dei piú importanti classici moderni, un tassello fondamentale per comprendere la Storia del Novecento e purtroppo anche la nostra.
    pp. 352
    € 12,50
Franco Loi

Dopo i primi riconoscimenti di Isella e Fortini, fu Mengaldo a consacrare Franco Loi, dandogli la strategica ultima posizione nella sua famosa antologia Poeti italiani del Novecento (1978) e presentandolo senza mezzi termini come «la personalità poetica più potente degli ultimi anni».
A Stròlegh (1974), che era il libro più importante sul quale Mengaldo basava il suo giudizio, seguirono rapidamente Teater (1978) e L’aria (1981), un trittico di libri Einaudi che avrebbero confermato il valore del poeta milanese e restano tuttora la testimonianza di una fase particolarmente felice della poesia di Loi.
Nella tradizione di Carlo Porta e Delio Tessa, Loi aveva ripreso a scrivere poesie in milanese, ma il suo dialetto si differenziava da quello dei suoi predecessori, era pieno di termini spuri o spesso inventati. Se non per la lingua, Loi si ricollegava al Porta per la teatralità dei suoi versi, per le voci differenti che attraversavano i suoi poemetti e le sue poesie. Salvo restituire spazio a un io lirico, spesso trasognato, nel corso degli anni.
La vena narrativa dei suoi versi era l’elaborazione poetica di un’arte affabulatoria naturale, orale, capace di intrattenere e coinvolgere sia un pubblico di amici sia un uditorio più vasto nonostante una voce flebile e di registro acuto. La sua disposizione alla conversazione e all’amicizia ha saputo diventare negli anni anche un prezioso apporto a tante figure di più giovani poeti che a lui guardavano come maestro e punto di riferimento insostituibile.

La sua poesia resterà, ma mancherà a molti la sua simpatia e la sua umanità.

Nel corso di circa mezzo secolo Franco Loi ha pubblicato una trentina di libri. Tra i più recenti: Amur del temp (Crocetti 1999, 2018); L’aria de la memoria (Einaudi 2005), un’auto-antologia che raccoglie il meglio di tutta la sua produzione; I niül (cioè «le nuvole», Interlinea 2012).