Giulio Einaudi editore
Cristina Cassar Scalia, Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni

Una giovane bellissima, che lavora nel mondo dell’arte, viene uccisa nel proprio appartamento a Roma. Tre personaggi coinvolti per ragioni diverse nell’omicidio forniscono la loro interpretazione dei fatti. Chi nasconde la verità. Chi la manipola. Chi sembra non curarsene. Dietro a ognuno dei tre personaggi ci sono tre grandi scrittori:

A dare la parola al commissario Davide Brandi, poliziotto molto abile e molto ambizioso, colui che conduce le indagini, è Giancarlo De Cataldo.

A dare la parola a Marco Valerio Guerra, uomo d'affari ricchissimo, potente e odiato, è Maurizio de Giovanni.

Infine, a dare la parola ad Anna Carla Santucci, moglie di Guerra, affatto stupita del tradimento del marito, è Cristina Cassar Scalia.

Tre passi per un delitto è «una creatura a tre teste, sei occhi e sei mani, animale bizzarro e sorprendente che muta pelle e cambia voce perché si tratta di una bestia parlante. Questo mostro, nel senso che è portentoso ma fa anche paura, racconta una storia (un giallo) da tre punti di vista diversi, stringe e scioglie nodi, ama più la bugia della verità ma lo fa senza regola apparente, secondo come gli gira. Quello che sembra vero all'inizio diventa falso alla fine e viceversa. L'assassino non è il maggiordomo e prende forma solo nelle ultime pagine, secondo un canone tradizionale che però le sei mani scompaginano. Un po' Rashomon, certo, ma dentro un romanzo noir italiano non s'era ancora visto» (Maurizio Crosetti, «la Repubblica»).

Ci interessava sottolineare l'ammissibilità dei diversi punti di vista, divertirci e divertire. Maurizio de Giovanni, «la Repubblica»

Una commedia nera divisa in sei atti, due per ogni autore, nata da un’idea, come spiega De Cataldo, di Maurizio de Giovanni: «Me ne parlò e ci mettemmo sul gusto. Un omicidio classico, tre punti di vista: mancava la voce femminile, così chiamammo Cristina. Poi è stato un continuo scambio di telefonate, mail e incontri per calibrare tutto. Non poteva sfuggire alcun dettaglio, ci abbiamo messo un paio d'anni o forse più. Un singolare esperimento: siamo entrati nella stanza di Barbablù per vedere cosa ci fosse lì dentro. Tecnicamente parlando, ognuno di noi ha scritto per proprio conto sulla traccia della trama concordata. La speranza è che tre voci abbiano prodotto un autore. Di sicuro ci siamo divertiti come matti» (Giancarlo De Cataldo intervistato da Maurizio Crosetti, «la Repubblica»).

Per scoprire la verità di questa storia, tra contraddizioni e versioni sconcordanti, bisogna scavare «nel sottosuolo umano, nel profondo delle pulsioni e alla superficie dell'interesse. Ferocia, malizia e amore, persino l'amore, non mentiranno. Poi, alla soluzione si può anche arrivare per caso. Ma come dice Marco Valerio Guerra, “quello che chiamiamo caso è solo l'attenzione che prestiamo a ciò che succede”» (Maurizio Crosetti, «la Repubblica»).

Andrea Bajani

Dopo Promemoria, il suo esordio in versi, Andrea Bajani torna nella «Bianca» con Dimora naturale. Un libro attraversato da molti animali. Da quelli selvaggi dei documentari che ci ipnotizzano in tv, a gabbiani e storni osservati nei cieli cittadini, dal polpo di cui si è scoperto un cervello diffuso lungo il corpo fino alle mosche dipinte sugli orinatoi. Tra questi l’uomo, specie tra le specie, vorticante insieme alle altre sul pianeta; come loro cerca il contatto con la terra e come tutti non la riconosce più dopo averla violata così tanto.

Il lavoro dell’autore è stato accolto calorosamente dalla critica e da molte firme autorevoli del mondo letterario italiano:

«Dimora naturale, di Andrea Bajani, è un libro in cui spiccano due testi consacrati alla poesia come strazio vocale o asteroide. Ma vanno lette con attenzione anche le composizioni sulla farmacia, “un negozio con dentro gli attrezzi | per riparare il dolore della specie”, sui cani che ci guardano sotto forma di documentari, sui cantieri stradali come una forma di sollievo della terra. Queste 50 liriche di 8 versi l’una formano un canzoniere talmente ispirato e piano da risultare anomalo nel senso più alto del termine».
Valerio Magrelli

«C’è un gabbiano che, forse per sbaglio, porta il mare sul terrazzo, e c’è un poeta che si interroga sul senso di questo disorientamento animale: prendere una palazzina anni Cinquanta per la propria dimora naturale. È lo scarto che conta (il gabbiano fuori luogo), la lontananza che si fa presenza allucinata o la coincidenza inattesa (e quasi miracolosa) tra l’umano e il non umano? Dove sta la minaccia? Ed è poi davvero una minaccia? La poesia è in questa “dimora naturale” che apre vertigini ed enigmi».
Paolo Di Stefano

«Un decentramento dello sguardo, un fascino dell'elevazione e della levità, che fa venire in mente, certo, il leopardiano Elogio degli uccelli, e più in generale quell'avventura propria di una tradizione poetica che intende la lingua della poesia come resistenza alla fine dell'infanzia: una resistenza che cerca di accogliere, di quel perduto fiabesco mondo vivente, echi, sguardi, fantasmi. Senza rimpianto, ma trasformando il lontano incantamento in conoscenza fantastica».
Antonio Prete, «Alias – il manifesto»

«Un'ironia amara e paradossale anima le poesie di Bajani, mai sfiorate dal rischio della solennità. Quale sarà, si chiede ancora il poeta, la voce della nostra specie? “Non è un grugnito o un miagolio | è un po' belato un po' starnazzo. È la poesia, lo strazio vocale di ogni io. Bello o brutto, è il verso che facciamo”. Il basso continuo dell'ironia si rovescia cosi in una pietas creaturale universale, sì che potremmo leggere l'intera raccolta come un sermo humilis, un invito ricorrente a riscoprire il valore supremo della gentilezza, “che è senza spiegazioni, non ha ratio”, ma come “forza pura e disarmata, | si propaga come suono nello spazio”. Un po' come la bontà illogica di Vasilij Grossman».
Franco Marcoaldi, «Robinson – la Repubblica»

«L'angolazione di Bajani permette aperture filosofiche, diventa pensiero poetante: innesca una serie di immagini che in sintesi ci parlano della nostra vita, del nostro essere in precario equilibrio in un mondo che crediamo solo di conoscere. Il mistero viene dall'interazione con la bellezza, naturale appunto, degli animali che ci affiancano: chi siamo, e quanto siamo diversi da loro? Il nostro cervello, di cui abbiamo la tendenza a vantarci, per Bajani è un abnorme fardello, una condanna. Il nostro stesso linguaggio, e in particolare quello poetico, è misurato su parametri animali: se l'inchiostro è spruzzato dalle seppie come forma di difesa, Bajani si chiede "qual è la ghiandola … che secerne questi versi" e, soprattutto, quale sia la minaccia che il poeta deve affrontare. La domanda è dunque sul senso stesso della poesia, difesa contro il dolore provocato dalla vita o forse, meglio ancora, contro la difficoltà a capirne il senso e il valore. Gran parte della letteratura del secolo breve ha ruotato intorno a questo tema e a questa domanda, molto esistenziale e poco letteraria e ora forse si avvicina a una nuova domanda: quanto c'è di "natura" in noi, quanto ne abbiamo bisogno, anzi quanto è indispensabile?»
Bianca Garavelli, «Avvenire»

«La coerenza poetica, rispetto al precedente libro, si trova appunto nella dimensione metaletteraria, anzi Bajani sembra proprio riprendere il filo di un tema esaminato in precedenza: come trovare salvezza nella parola. Lo fa all'interno di un valore comparativo, tanto da ricordarci un altro validissimo autore, Ivano Ferrari e il suo Macello».
Mary B. Tolusso, «Il Piccolo»

«Ma c'è anche quello che Michel Serres chiama “mondo muto” in questo piccolo e prezioso libro, la terra, i fiumi, i laghi, sconvolti dalle alterazioni climatiche, che parla appunto di un nuovo patto con la natura, la terra che in alcuni di questi versi “riprende a respirare” dopo che gli operai con la scavatrice spaccano la strada, una volta “ristabilito il patto originale”».
Angelo Ferracuti, «il manifesto»

«Quarantanove componimenti più uno, tutti di otto versi, che sono “lo strazio vocale di ogni io”, la voce della specie cui apparteniamo. Quando è così ispirata, questa voce riesce a rendere più tollerabile la nostra appartenenza, almeno per chi ha il privilegio di ascoltarla».
Rosella Postorino, «Tuttolibri – La Stampa»

«Poco prima del Giubileo arrivai a Roma, vedevo i gabbiani in città e mi parevano orfani del mare. Negli anni Dieci hanno invaso l'Urbe e io sono tornato a Milano. Oggi, di passaggio a Roma, ho trovato nel nuovo libro di Andrea Bajani l'esatta espressione di quel doppio disorientamento che suscita la vista di questi uccelli regali e il loro destino vile e minaccioso di spazzini predatori».
Luca Mastrantonio, «Sette – Corriere della Sera»

Da questa mattina Enrico Ganni non c’è più. Tante cose se ne volano via con Enrico, tante cose che facevano la differenza: la cortesia di umanità opposta a quella di convenzione, la discrezione che si prende cura del prossimo opposta a quella che se ne disinteressa completamente, l’ironia che salva opposta a quella che ferisce. Abbiamo vissuto e lavorato a lungo insieme, abbiamo addirittura convissuto nei primi tempi einaudiani, e guardato fiorire gli amori… Enrico faceva parte di quelle rare persone che solo con la loro presenza sono capaci di trasmettere più equilibrio al gruppo in cui lavorano e conversano. In Einaudi si è occupato di progetti cruciali: le Opere complete di Walter Benjamin, le Conversazioni con Goethe di Eckermann, Dalla mia vita, ancora del «suo» Goethe, di cui ha curato anche le poesie per un Meridiano Mondadori, l’opera uscita in Einaudi di Hans Magnus Enzensberger e altro ancora… due folgoranti traduzioni di Kafka: La metamorfosi e Lettera al padre. Questo resterà di lui a tutti, voglio dire anche a chi sta oltre la cerchia dei colleghi, degli amici e della famiglia. Angela e Tommaso sono stati davvero fortunati ad averlo avuto con loro per tutti questi giorni e per tutti quei viaggi di cui abbiamo sempre parlato davvero troppo poco.

Ernesto Franco

Christian Frascella

Torna nelle librerie l’amato investigatore Contrera, con il solito talento autodistruttivo e una vita privata incasinatissima: l’ex moglie rimasta incinta dopo un’ultima notte di passione, la nuova travolgente compagna ancora all’oscuro di tutto e la figlia adolescente che galoppa su una strada non proprio raccomandabile…

Una sera di novembre due uomini vengono freddati in un locale del quartiere torinese Barriera di Milano, «Barriera è parte di me, un posto in perenne fermento» (Christian Frascella, «Corriere della Sera ed. Torino»), e guarda caso Contrera si trova sul luogo del delitto.

Nell’arco di ventiquattro ore, il protagonista deve districarsi, con la sua solita indolenza, fra ronde, forze dell’ordine e un quartiere multietnico complesso e dall’equilibro molto fragile.

Carlo Lucarelli, nella bellissima recensione a «la lettura - Corriere della Sera», spiega ai lettori chi è Contrera: «Quando ho incontrato per la prima volta l'investigatore privato protagonista – per adesso – di tre romanzi di Christian Frascella, ho subito pensato a Philip Marlowe di Raymond Chandler, e non solo per questa cosa dell'investigatore privato. Contrera è un uomo che cerca. E non soltanto chi ha ammazzato chi – non svelo niente, per natura di giallista – che in questo bellissimo L'assassino ci vede benissimo arriva un po' più avanti, al punto giusto, dopo una serie di eventi incalzanti che all'inizio sembrano muoversi solo all'interno della sfera esistenziale del personaggio, ma non è vero, e che ti prendono di capitolo in capitolo fino a quel noirissimo punto giusto. Contrera cerca qualcosa che neanche lui sa cos'è, sé stesso, il senso della vita, l'equilibrio delle cose, la giustizia del mondo, o magari no, solo un po' di pace, sé stesso, appunto, chissà, e in questa ricerca inquieta e anche un po' disperata finisce sempre e inevitabilmente per farsi male o ferire le persone che ama, che alla fine è lo stesso».

Contrera ci parla e si parla, e lo fa con un umorismo, un sarcasmo e un'ironia, spesso diretta su - ma soprattutto contro - sé stesso, e questo risulta un antidoto, non un vaccino, alle botte che prende nel corpo e nell'anima. Carlo Lucarelli, «la Lettura - Corriere della Sera»

Questo terzo capitolo della serie è una miscela esplosiva di humour, ritmo e intelligenza investigativa. «Va detto, lui non resiste a una battuta nemmeno con un coltello puntato alla gola, motivo per cui si ride parecchio, eppure questa volta la nebbia sembra fittissima. Lui però promette: “Io sono Contrera. Compagno del cavolo, padre di merda, fratello approfittatore, cognato insopportabile, figlio degenere, ma investigatore coi controcazzi. Mettiamo le cose in chiaro”» (Eleonora Barbieri, «il Giornale»).