Mese: ottobre 2019
Diciassette storie. Diciassette brani preziosi firmati da autori come Bram Stoker, Ardengo Soffici, Edgar Allan Poe, Amelia B. Edwards… Un’antologia, curata da Fabio Genovesi, che si rivolge a chiunque, almeno una volta nella vita, ha avuto il timore di scoprire cosa si annida nel buio. Fuori e dentro di sé.
I racconti delle tenebre è «un elogio dell’ombra, un omaggio a un mondo delle tenebre spodestato da elettricità e lampadine, da un quotidiano iper-illuminato dove non sembra esserci spazio per scricchiolii o effetti sinistri» (Marilù Oliva, «Huffington Post», link).
In questo libro trovano spazio fantasmi, vampiri, mostri orribili e creature incantatrici, morti che tornano o che non vogliono andarsene. Ma anche amori infelici che durano oltre la tomba, maledizioni che non perdonano. E ogni racconto «è anticipato da una breve introduzione ricca di spunti e aneddoti che, oltre a svelare curiosità a proposito dell’autore e delle vicende, dimostra la passione e l’attenzione dedicate a questo progetto. Scoprirete, ad esempio, che William H. Hodgson, scappato di casa a tredici anni, voleva imbarcarsi come marinaio» (Marilù Oliva, «Huffington Post»).
Per Genovesi, come si legge nella prefazione, «leggere queste storie è allontanarci dalla fretta, alzare gli occhi e tornare a quello che eravamo, e che nel profondo per sempre saremo. Magari mentre un ramo mosso dal vento gratta sul vetro della finestra, proiettando un’ombra scheletrica sulla parete. Abbiamo il respiro in gola e lo sguardo incollato alle pagine, e ci scopriamo pieni di un’emozione ancestrale e sragionata, a tremare come la fiamma della candela qui accanto, debole eppure viva, palpitante e caldissima, che ci accompagna dentro al mistero».
Niccolò ha venticinque anni, è un giovane scrittore in crisi dopo il successo del suo primo libro e si sente una «frana in tutto»: senza lavoro, senza laurea, senza curriculum. Ha Simona però, di cui è innamorato perso; anche lei ha i suoi sogni, vuole recitare, non vuole farsi sfuggire la vita e decide di partire in tournée lasciandogli Lorenzo, il figlio di quattro anni. È il bambino di un altro uomo, un chitarrista argentino.
La vita a volte sorprende e l'amore conosce strade impreviste, difficili, impervie, ma capaci di regalare felicità. Niccolò e Lorenzo, un bambino senza padre e un uomo con un figlio non suo, devono imparare a convivere. A complicare le cose ci si mette anche l'arrivo di Andrés, il padre naturale, quello a cui «tocca la somiglianza»; mentre i pochi giorni di assenza di Simona diventano mesi e i tre provano a essere una famiglia, Niccolò e Andrés vivono un'esperienza di crescita e amore, e diventano adulti.
È «un romanzo ironico e delicato che un po’ racconta la storia di tutti coloro che hanno imparato ad amare e prendersi cura dei figli della propria compagna o del proprio compagno. Con inciampi, momenti buffi e paure, crescendo con loro. Crescendo tutti» (Selvaggia Lucarelli, link).
Marco Marsullo tiene incollati alla pagina senza usare trucchi sensazionali, raccontando con lievità e delicatezza piccole pieghe di vita, lì dove spesso si annidano cose preziose. Lorenzo Marone, «Tuttolibri – La Stampa»
«L’autore ci regala l’affresco di una famiglia improvvisata nella quale ognuno ricopre un ruolo: un giovane che tenta di fare il genitore e detta regole perché ha bisogno di regole, un altro che proprio non vuole crescere, e un bambino invece costretto suo malgrado a farlo prima del tempo». Marsullo racconta «la quotidianità delle relazioni familiari, i conflitti e gli incastri casuali della vita che portano spesso a prendere strade diverse e inaspettate, il tutto dosando sapientemente tenerezza e ironia» (Lorenzo Marone, «Tuttolibri – La Stampa»).
La famiglia di L’anno in cui imparai a leggere è nata dal caso, è fuori dall'ordinario ma riesce a far fronte alla mancanza di una figura femminile, affrontando giorno per giorno la routine a cui la presenza di un bambino costringe. I tre «formano una famiglia improvvisata in cui scoppia l’amore tra tutti grazie al bambino. In tante famiglie pseudonormali registro meno slanci d’affetto, meno comprensione reciproca. Ho scritto un inno alle famiglie diverse. Sbaglia chi si preoccupa della loro forma, conta la quantità di amore in grado di generare» (Marco Marsullo intervistato da Ugo Cundari, «Il Mattino»).
Il 24 settembre è stato assegnato il Premio Marino Moretti alla carriera a Pier Vincenzo Mengaldo. Per la giuria l’autore è «uno dei maggiori intellettuali italiani del nostro tempo, storico della lingua italiana, filologo, critico letterario, professore dell’Università di Genova, Ferrara e Padova, maestro di più generazioni di studiosi e ricercatori. In edizioni critiche (tra cui si ricordano quelle del De vulgari eloquentia di Dante e degli Amorum libri del Boiardo), saggi e antologie, che formano un insieme anche quantitativamente impressionante, Mengaldo ha affrontato i più importanti autori della letteratura italiana, da Dante a Leopardi, da Nievo a Pascoli, si è misurato con alcuni grandi scrittori di altre letterature come Balzac e Tolstoj e ha fatto acute incursioni nella critica d’arte e nel teatro musicale. In particolare, la Giuria ha voluto rendere omaggio allo studioso e interprete della letteratura novecentesca nell’ampia e articolata serie dei 5 volumi della Tradizione del Novecento, nella fondamentale antologia della poesia del xx secolo, nei saggi e libri dedicati a Calvino, Montale, Sereni, Levi, e all’intellettuale dall’appassionato e alto impegno civile e culturale che emerge dalle scelte di lettura (Antologia personale, Giudizi di valore) e dal libro sulla memorialistica della Shoa, nonché al docente che commenta testi classici della nostra letteratura (Antologie della prosa e della poesia italiana) e introduce studenti e professori alla critica stilistica e all’esame del funzionamento della poesia (Com’è la poesia), con particolare attenzione alla metrica, i cui studi Mengaldo ha promosso anche attraverso riviste specializzate» (link).
La cerimonia di premiazione si svolgerà sabato 26 ottobre dalle ore 18 nel Teatro Comunale di Cesenatico, con la conduzione di Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio Tre.
L’ultimo libro di Mengaldo è Per Primo Levi, pubblicato nell’aprile del 2019: sono esattamente trent'anni che l’autore studia i testi di Primo Levi, ne analizza la scrittura, ne individua il senso più profondo. La «lunga fedeltà» sfocia in questo volume, che tutti quegli studi raccoglie dalle sedi diverse dove sono stati originariamente pubblicati, dando loro una veste organica.
Bérengère Viennot di professione fa la traduttrice e lavora per la stampa dal 2000. Con il suo saggio, La lingua di Trump, ha voluto raccontare quello che lei definisce «un evento sconvolgente»: l’elezione, appunto, del nuovo presidente americano.
Questo shock ha colpito soprattutto il suo aspetto professionale perché «mi ha costretta con una violenza improvvisa a rivedere il mio modo di lavorare e mi ha brutalmente espulsa dalla zona di comfort nella quale mi crogiolavo beata dopo l’elezione di Barack Obama nel novembre 2008, senza peraltro che questo sconvolgimento apportasse il minimo beneficio alla mia attività» (La lingua di Trump, p. 4).
Il linguaggio di Trump è completamente diverso da quello dei suoi predecessori, è semplice, ripetitivo… ma allo stesso tempo contorto, volgare e indecifrabile: «parla senza applicare alcun tipo di filtro e senza nemmeno considerare a chi si sta rivolgendo, ed essendo un presidente è una cosa parecchio inusuale: lo è nella comunicazione politica, ma se ci pensate non farebbe questa gran figura nemmeno nel mondo normale» (Bérengère Viennot intervistata da Davide Piacenza, «Wired», link).
«La traduzione non si riassume nel tradurre delle parole»: è far passare un messaggio da una lingua a un’altra. Il che necessita di diverse tappe, nessuna delle quali è superflua. Un testo per prima cosa ha bisogno di un senso, di un messaggio da trasmettere; altra condizione necessaria per tradurre un discorso è conoscere a sufficienza la lingua dell’autore, la sua cultura, il suo percorso… sapere chi è.
E per capire il nuovo presidente americano l’autrice «va a cercare la potenza insieme primordiale e modernissima che cresce dentro il lessico di Trump, capace da solo – quasi più della sua politica – di scardinare un intero sistema di comunicazione, cambiando i meccanismi del discorso istituzionale d’Occidente, che sembrava ormai definito dentro i canoni classici seguiti in tutto il dopoguerra» (Ezio Mauro, «la Repubblica»).
La lingua di Trump è uno specchio implacabile: del presidente in persona, dell’America di oggi, della nostra epoca.
Il 17 ottobre uscirà nelle sale Se mi vuoi bene, il film tratto dall'omonimo romanzo di Fausto Brizzi che ne firma anche la regia.
Il film segue la storia di Diego (Claudio Bisio), avvocato di successo con un gran talento nello scatenare accidentalmente catastrofi. Quando cade in depressione decide di combattere il suo malessere in un modo alternativo, aiutando le persone care intono a lui. L'idea gli viene in seguito all'incontro con Massimiliano (Sergio Rubini), proprietario di un eccentrico negozio di Chiacchiere che non vende nulla se non, appunto, conversazioni.
«Mi innamorai del libro scritto da Fausto per via del personaggio protagonista, lo immaginavo al cinema. Sentii che avrei voluto percorrere quella strada pericolosa dal sentiero tortuoso tra risata e commozione» (Claudio Bisio).
Il 26 Luglio 2012, quattro mesi dopo aver avuto la sua prima ed unica figlia, Fuani Marino si è buttata dal quarto piano di una palazzina, è volata dall’alto «come un sacco nero» sul marciapiede di una stradina di Pescara.
Dopo mesi di ricovero, interventi chirurgici, anni di terapia e cure farmacologiche, decide di raccontarsi; voleva andarsene senza lasciare una riga, ora vede nella scrittura un'opportunità e un dovere. Scrive per liberarsi, per fare i conti con il dolore causato alla famiglia, perché la storia della sua depressione possa servire ad altri.
«Un libro prezioso che tratta del tema del suicidio da una prospettiva originale: dalla parte del suicida […] Scrivere un libro non serve a curare se stessi, serve piuttosto a dare voce a ciò che normalmente non può essere pronunciato. Scrivere un libro ha senso solo se si esprime l’indicibile. Svegliami a mezzanotte fa esattamente questo. Ci dice che si arriva ad accettare il tentato suicidio senza riuscire ancora ad accettare se stessi. Vale a dire: si accoglie il fatto di aver tentato il suicidio, rimandando al contempo la comprensione dell’essere umano che si è» (Andrea Pomella, «Doppiozero», link).
La ricerca di segni premonitori parte dal suo nome, che le imponeva di dare spiegazioni sulla sua origine, ricorda il disordine della sua casa, la percezione delle tensioni coniugali, la sua tendenza a mettersi nei guai. Alla ricerca di sé ripercorre gli anni del Liceo, dell'Università a Napoli… il primo amore, il matrimonio, la maternità. Ma la vera domanda è come sia arrivata lassù, per poi lanciarsi nel vuoto: «Io non ho trovato una risposta al perché del mio gesto, ogni suicidio rimane un mistero individuale, come un mistero sono le persone […] Non era tristezza, che è un sentimento con cui si può convivere, era totale mancanza di senso, lo scollamento del rispetto agli altri, a me stessa, al mondo», confessa l’autrice a Alessandra Sarchi su «la Lettura – Corriere della Sera».
Fuani è consapevole di quanto sia difficile capire la propria vita, le cause genetiche e ambientali della sua malattia. «È soprattutto lo stile della scrittura a rendere questo memoir qualcosa di più simile al romanzo che al saggio, un’esperienza di lettura profonda e coinvolgente […] Svegliami a mezzanotte è soprattutto un libro sull’opportunità di scrivere un libro come questo. In questo senso non è soltanto un libro sulla depressione, sul disturbo bipolare o sul suicidio: è, prima di tutto, un grande libro sulla letteratura» (Raffaele Alberto Ventura, «Tuttolibri – La Stampa»).
Il 10 ottobre alle ore 13 sono stati annunciati i due vincitori del Premio Nobel per la Letteratura. Il celebre riconoscimento è stato assegnato a Olga Tokarczuk e a Peter Handke, rispettivamente per il 2018 e per il 2019.
Nel catalogo Einaudi c'è il libro di poesie dello scrittore austriaco Canto alla durata, una personale ricerca sul concetto di durata, l’entità che fornisce contorno a quanto ha la tendenza a dissolversi.
L’Accademia svedese ha assegnato il Nobel a Peter Handke «per un lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell'esperienza umana».