«C'è da dire soltanto "sedetevi e allacciate le cinture", iniziando a sfogliare il romanzo di Luca D'Andrea. Perché se c'è una cosa che lo scrittore di Bolzano sa fare magistralmente, è quella di partire a razzo, senza troppi preamboli, ed entrare subito nel cuore della storia». Con queste parole, Lorenzo Cresci introduce Il respiro del sangue nella sua appassionata recensione per «Tuttolibri - La Stampa».
Ed è proprio dalle prime pagine che il lettore capisce che la vita di Antonio Carcano, detto Tony sta per essere stravolta. Scrittore di successo di romanzi d’amore, conduce un’esistenza appartata, monotona e tranquilla; vive nel quartiere di Bolzano in cui è nato con il suo vecchio e fidato San Bernardo, senza preoccuparsi troppo che sia il suo unico amico.
Nella sua vita irrompe Sibylle, se la trova davanti durante una passeggiata, guida una Enduro bianca, ha shorts e coltello a serramanico, casco e aria combattiva, inquietante, pericolosa. Porta con sé una foto che sconvolgerà la vita di Tony perché farà riemergere un segreto sepolto da anni.
C'è lui, giovanissimo, che sorride davanti a un cadavere coperto da un lenzuolo durante l’unica inchiesta della sua brevissima carriera di giornalista. Il corpo è quello di Erika Knapp, detta la Stramba, che la notte del 21 marzo 1999 aveva lasciato orfana una bambina dal nome stravagante: Sibylle. D’Andrea dilata «pagina dopo pagina, la sensazione di vuoto che precede l’ignoto. Ogni passo un dettaglio inquietante, una immagine distorta, una sbavatura della realtà che trascina il lettore in un vortice di ansia» (Stefania Parmeggiani, «la Repubblica»).
Vent'anni prima il cadavere di Erika era riaffiorato nel lago di Kreuzwirt, nel Sud Tirolo, un paese che custodisce un mistero impensabile fatto di menzogne e di violenza, di avidità e di follia; si disse che era un suicidio ma Sibylle non ci ha mai creduto e ora è lì, davanti a Tony, a chiedergli aiuto per scoprire il suo assassino. In più, dietro quella morte e la frettolosa inchiesta c'è l'ombra potente Wanderer, una figura misteriosa, davanti a cui tutti si inginocchiano.
«D’Andrea cammina sulla fune tesa nel vuoto, a volte si sbilancia contaminando le sue pagine con i toni dell’horror e del visionario, ma non molla mai la presa: è il terrore l’emozione che insegue. Già ai tempi del suo primo thriller, alcuni recensori avevano evocato Stephen King e il David Lynch di Twin Peaks. Che questi nomi siano nel pantheon di D’Andrea lo conferma Il respiro del sangue. Non solo per i meccanismi narrativi e per le evidenti citazioni (Il San Bernardo, la rabbia, i ritornelli crudeli e ossessivi dei bambini, la comunità chiusa nei suoi segreti) ma anche per quel gusto di cercare le smagliature della realtà e guardare sempre più a fondo negli abissi del male» (Stefania Parmeggiani, «la Repubblica»).