Mese: marzo 2019
Venti storie. Venti autrici. Da Virginia Woolf a Chimamanda Ngozi Adichie, da Clarice Lispector a Patrizia Cavalli… intelligenza, sincerità e ironia descrivono un mondo vivissimo e sempre in movimento. Ne I racconti delle donne, curato da Annalena Benini, «parlano voci diverse e potenti, spiazzanti e libere, soprattutto libere, di quella libertà che viene dalla gioia e premia il coraggio portando la luce dopo il disastro; tutte le protagoniste hanno vissuto un dislivello di potere, hanno percepito l’attimo in cui l’immagine che avevano di sé si incrinava, si spezzava modificandole per sempre, e hanno saputo raccontarne le conseguenze con onestà, dolore e a volte ironia» (Nadia Terranova, «Il Foglio»).
L’amicizia, l’invidia, l’amore, lo smarrimento, il sesso, la paura, l’ambizione, i figli, gli uomini, le risate, il coraggio: «Alcuni racconti sono di inarrivabile magnificenza, come Quello che si ricorda di Alice Munro o Oggetto d’amore di Edna O’Brien, altri intelligentissimi e di tecnica sopraffina, come La presentazione di Virginia Woolf, una specie di spin of di Mrs Dalloway, o Amiche di Grace Paley» (Elena Stancanelli, «D – la Repubblica»).
«Questi racconti li vedi esplodere. Li vedi prendere forma sotto i tuoi occhi, parola dopo parola, infuocarti la testa mentre stai leggendo, insinuarsi nei tuoi ricordi e nella tua esperienza e in quello che sai di te e del mondo, infilarsi di diritto nella vita che fai, che hai, oltre quello che hai letto, dopo quello che hai letto, e continuare a tuonare in lapilli dentro di te. Questi racconti sono tra i più belli che ho letto» (Antonella Lattanzi, «La Stampa»).
La raccolta composta dalla curatrice ha un respiro contemporaneo, raccontare le donne d’altronde significa raccontare una forza che all’improvviso squarcia tutto, oppure si nasconde, o cammina piano e prepara la strada a chi verrà dopo: «si divertono, scrivono, fanno figli, amano e odiano, ma sono vittime di un segreto, qualcosa che vorrebbero ignorare ma incombe: la necessità di sentirsi legittimate. Preziosa questa antologia, anche per le accurate postille di Benini a ogni racconto» (Elena Stancanelli, «D – la Repubblica»).
«Il lettore uomo, alla fine di questo libro, non riesce a capire meglio, a capire non in senso razionale ma come intelligenza emotiva, forma di conoscenza empatica, quale sia la specificità femminile della letteratura scritta da donne. Ma forse può capire che il filo rosso, ciò che avvicina scrittrici sideralmente lontane come Dorothy Parker e Yourcenar, è il come, non tanto il che cosa. Un come che si esprime in un modo di raccontare con una felice spudoratezza che forse, gli scrittori uomini, più attenti, più prudenti, più sicuri di sé, più stanchi, senza il bisogno di sentirsi “legittimati”, non riescono più a mettere tra le pagine» (Pierluigi Battista, «Corriere della Sera»).
Armand Gamache, il commissario capo della Sureté del Quebec nato dalla penna di Louise Penny e definito dal Times «uno dei detective più memorabili in circolazione», si presenta subito ai lettori: è seduto sul banco dei testimoni e sembra a disagio davanti alle domande del procuratore stranamente ostile e sarcastico. Al centro del processo un omicidio, alla sbarra il presunto assassino. Lo sfondo, dietro alle domande del procuratore e i ricordi del poliziotto, è Three Pines, villaggio immaginario nella foresta canadese, un posto che sembra un porto sicuro, ma che è invece la maglia di una rete di narcotraffico che il commissario vorrebbe sgominare. «Il protagonista assoluto non è l’assassino, e non è neppure Armand Gamache, che pure riveste il ruolo di capo della polizia canadese: il vero protagonista è l’atmosfera che ti cattura sin dalla prima pagina e non ti lascia andare sino al climax finale» (Massimo Vincenzi, «La Stampa»).
Il racconto coinvolge il lettore, lentamente, con abilità; si è subito attratti da una figura inquietante, rievocata da Gamache: «Appena il poliziotto mite e bravissimo dice ho capito che stava succedendo qualcosa di strano quando ho visto la figura con la tonaca nera nel parco del villaggio, ecco che ormai ci sei, dentro la ragnatela, stordito e affascinato, come succede ai lettori di un bel giallo che funziona» (Carlo Lucarelli, «la Lettura – Corriere della Sera»).
Louise Penny ha, nell’arte dell’indagare nella mente degli uomini, la capacità di creare nodi per poi scioglierli con un’abilità da maestra. Massimo Vincenzi, «La Stampa»
Ed è proprio da questo personaggio, che sembra un sinistro mietitore di vite, che inizia la vicenda che Louise Penny racconta con stile, da vera giallista: «È il primo libro che ho letto di Louise Penny […] E non conoscevo l’ispettore capo Armand Gamache con la sua squadra di poliziotti, tra cui Louiselle Lacoste, che dirige la Omicidi e che parla con i morti, promettendogli di prendere l’assassino. Non so come si sentano le mosche invischiate al centro del bozzolo in attesa del ragno. Male, penso. Io invece mi ci sento bene e aspetto così il prossimo libro di Louise Penny e Armand Gamache, e so che ce ne saranno tanti. Perché questo libro è come una ragnatela. Bello» (Carlo Lucarelli, «la Lettura – Corriere della Sera»).
Il romanzo è costruito su due piani temporali diversi: «A novembre la pace del paesino è turbata da una presenza inquietante – una figura incappucciata e con un manto nero che si piazza in mezzo a uno spazio pubblico – e da un delitto che sembra legato a quell’entità misteriosa. A luglio, invece, si svolge un processo che vede Gamache sul banco dei testimoni, incalzato da un magistrato che gli appare ostile» (Giuliano Aluffi, «il venerdì – la Repubblica»).
Poi c’è il finale, «serrato, ricco di colpi di scena e di scontri che non ti aspetti nella quiete, tra i grossi alberi e gli animali che pascolano serene vicino agli uomini […] Tutto è da scoprire, perché Louise Penny ha, nell’arte dell’indagare nella mente degli uomini, la capacità di creare nodi per poi scioglierli con un’abilità da maestra. Ed ecco il trucco è tutto qui: non è un noir, non la Signora in giallo. Tutto sarà bene, fidatevi lettori» (Massimo Vincenzi, «La Stampa»).
Karl Marx è tornato attuale, in questi tempi difficili. Attuale come lo sono sempre i classici del pensiero. Con questa Biografia intellettuale e politica Musto ci riconsegna, senza la pretesa di essere esaustivo vista la ricchezza e la complessità del suo pensiero, un grande intellettuale che non appartiene solo al suo tempo e che, in questo saggio, «è diverso, sembra quasi un contemporaneo.
Musto presenta un Marx notevolmente diverso rispetto all’abituale, un Marx si potrebbe dire che appartiene ai nostri giorni e perfino un po’ al futuro» (Corrado Augias, «il venerdì - la Repubblica»).
L'autore è interessato a studiare gli anni maturi del filosofo, quelli che vanno dal 1857 al 1883, quando i suoi interessi e la sua attenzione alle vicende internazionali si allargano e nascono nuove curiosità verso le scoperte scientifiche: «Musto parte dalla critica dell’economia politica affiancandovi subito la ricostruzione dell’attività politica di Marx nel quindicennio considerato, esplora poi le ricerche antropologiche dell’ultimo triennio e conclude ripercorrendo la teoria politica che attraversa tutta la sua vita. L’afflato ‘militante’ della biografia di Musto si risolve nella rivitalizzazione del laboratorio analitico marxiano, fondamentale per giungere a una narrazione storica sensata del mondo contemporaneo, distinta e distante dalle diatribe correnti sulla ‘globalizzazione’ e sul ‘disordine mondiale’» (Giuseppe Vacca, «Il Sole 24 Ore»).
Nella ricerca di Musto è interessante il rilievo dato al ‘plusvalore’, cioè all’appropriazione da parte del padronato del tempo rubato gratuitamente agli operai, trascurando i loro bisogni di acculturazione e in genere di libertà nei rapporti sociali. Rossana Rossanda, «il manifesto»
È attento alla sua biografia perché è convinto che gli eventi della sua esistenza non siano slegati dall'elaborazione del suo pensiero; dedica grande e scrupolosa attenzione alla militanza politica, alla sua corrispondenza e ai manoscritti degli ultimi anni della sua vita. Il risultato di questa ricerca «è un’opera in ogni senso magistrale per l’acribia della documentazione filologica, il rigore della trattazione, la cristallina chiarezza espositiva, l’originalità dell’approccio interpretativo. Già autore di altri fondamentali contributi alla comprensione del pensiero marxiano, Musto ci consegna ora un testo che sconvolge il sonnolento scenario dell’esangue letteratura marxologica, per consegnarci la viva attualità del pensiero di un grande autore classico» (Umberto Curi, «Corriere della Sera»).
Uno studioso rigoroso come Musto sa bene che i molteplici interessi di Marx lasciano sempre aperti nuovi spazi interpretativi ma il suo lavoro arricchisce e soddisfa molte curiosità intellettuali; Secondo Rossana Rossanda nella ricerca dell’autore «è interessante il rilievo dato al ‘plusvalore’, cioè all’appropriazione da parte del padronato del tempo rubato gratuitamente agli operai, trascurando i loro bisogni di acculturazione e in genere di libertà nei rapporti sociali» («il manifesto»).
Nel dicembre del 2017 il New Yorker ha pubblicato, sia nella versione cartacea che sul proprio sito, un racconto intitolato Cat Person, di Kristen Roupenian, al suo esordio letterario. In pochi giorni il pezzo ha iniziato ad essere al centro di un forte dibattito e ha dato vita a moltissime conversazioni, fino a diventare il caso letterario dell’anno, il racconto più condiviso della storia.
L’omonima raccolta, dodici storie provocatorie su sesso, amicizia, piacere e rimpianto, è figlia di quel racconto. Margot ha 20 anni, lavora nel bar di un cinema dove incontra Robert, più grande di lei; si scambiano i numeri, si scrivono dei messaggi, escono a bere qualcosa ma poco dopo «lei cominciò a sentirsi tremendamente a disagio». L’incontro non è naturale, Margot non è sicura ma, nonostante tutto, ci fa sesso.
Raccontando di un sesso mediocre fatto sull’orlo del consenso ma non del desiderio, Kristen Roupenian ha esposto la questione meglio di mille articoli di cronaca sul tema: si può scegliere di esprimere un consenso circostanziale al sesso anche quando non esiste desiderio sessuale. Michela Murgia, «Robinson - la Repubblica»
«Cat Person non è una storia di stupro o molestie sessuali, ma, piuttosto, sul sottile confine tra gli esseri umani. Nell’estremo realismo con cui racconta un episodio banale, riesce a indagare le trappole, le manipolazioni e le delusioni del dating moderno. “Questa è fondamentalmente una storia che parla del consenso”, dice, “un concetto che ha molte nuance”» (Laura Pezzino, «Vanity Fair»).
La discussione intorno a questa storia si è subito accesa. Aiutata dal clima politico dopo l’elezione di Trump e dall’ascesa del movimento #metoo, ha scatenato forti reazioni: «Quando il racconto è apparso in rete, le prime a condividerlo sono state delle ragazze; dicevano che descriveva un’esperienza che avevano vissuto anche loro: l’idea che esista un punto oltre il quale è “troppo tardi” per sottrarsi a un rapporto sessuale. Si parlava anche, più in generale, del fenomeno del sesso fatto controvoglia quando si è spinte non dall’uso della forza ma da un cocktail micidiale di emozioni e aspettative sociali – imbarazzo, orgoglio, insicurezza a paura» (Kristen Roupenian, «Robinson - la Repubblica»). Poi però sono arrivati anche minacce, insulti e i toni si sono inaspriti. «Come ci si sente quando un proprio racconto diventa virale? Rispondere si sta rivelando imprevedibilmente difficile» (Kristen Roupenian, «Robinson - la Repubblica»).
Ma la forza di Cat Person è che «parlando di una specifica relazione tra due soggetti e raccontando di un sesso mediocre fatto sull’orlo del consenso ma non del desiderio, Kristen Roupenian ha esposto la questione meglio di mille articoli di cronaca sul tema: si può scegliere di esprimere un consenso circostanziale al sesso anche quando non esiste desiderio sessuale» (Michela Murgia, «Robinson - la Repubblica»).
Negli altri racconti della raccolta il preferito della Roupenian è Mordere: «Mentre la scrivevo avevo i brividi, è stato viscerale. Parla della frustrazione di non avere quello che si vorrebbe e, poi, di riuscire a ottenerlo […] Penso che sia tipico di noi donne interrogarci se quello che desideriamo sia giusto o sbagliato. Oddio, anche certi uomini lo fanno» (Kristen Roupenian intervistata da Laura Pezzino, «Vanity Fair»).
Il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio sta andando verso il congedo. Lontano dalla caserma per un'operazione all'anca e costretto alla fisioterapia, che vive come segno ineluttabile di senilità, non vede l'ora di riprendere il lavoro; anche se sa con sgomento che la pensione si avvicina.
Seguito da Bruna, una fisioterapista attraente ma indecifrabile, condivide il percorso rieducativo con Giulio, un giovane studente di Giurisprudenza che si sta affacciando alla vita con poche certezze, tranne quella di non voler fare l'avvocato come suo padre.
C’è insomma un’umanità dolente e imperfetta, che sbaglia, delinque, a volte uccide. Carofiglio la sdraia sul lettino con la tecnica inesorabile dell’analista, ma lo fa con tutta la pietas di cui ci sarebbe tanto bisogno in questo tempo cattivo. Massimo Giannini, «la Repubblica»
I due parlano, Fenoglio racconta le sue storie da investigatore, tre casi risolti dai quali emerge il suo metodo investigativo: «Gianrico Carofiglio è tornato sul luogo del delitto (letterario) che lo appassiona di più. Investigare sul crimine, per indagare la vita. Sviscerare il meccanismo col quale un bravo sbirro riesce a spremere da un fattaccio di cronaca qualche stilla di verità, per azzardare un metodo che ci consenta di conoscerci e riconoscerci per quello che siamo: il legno storto dell’umanità, per usare l’immagine di Isaiah Berlin» (Massimo Giannini, «la Repubblica»)
Investigare è un arte complessa, l'ego deve rimanere in disparte, bisogna saper costruire una storia, sapersi guardare intorno, saper riconoscere la menzogna, perché tutti mentono: «C’è la menzogna per la sopravvivenza individuale e collettiva: la verità sempre e comunque è un’idea astratta, un obbligo che può confliggere con l’imperativo morale» (Gianrico Carofiglio intervistato da Maria Grazia Ligato, «Io Donna Corriere della Sera»)
Il vecchio carabiniere che ha visto «centosettantuno morti ammazzati» e il giovane che non sa dare un senso alla sua vita condividono, attraverso le storie, un percorso che aiuterà a decifrare l'esistenza e che li cambierà entrambi. «C’è insomma un’umanità dolente e imperfetta, che sbaglia, delinque, a volte uccide. Carofiglio la sdraia sul lettino con la tecnica inesorabile dell’analista, ma lo fa con tutta la pietas di cui ci sarebbe tanto bisogno in questo tempo cattivo» (Massimo Giannini, «la Repubblica»).