Mese: gennaio 2018
Bella mia è il secondo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, reduce dal trionfo di critica e pubblico per L’Arminuta, vincitore del Premio Campiello 2017. Il libro, ora nei Super ET con una postfazione dell'autrice, ha partecipato al Premio Strega 2014 e ha vinto il Premio Brancati e il Premio Vittoriano Esposito Città di Celano.
Il sisma del 2009 ha sconvolto L'Aquila, ha trasformato il suo volto, ha cambiato non solo i luoghi ma i cuori e le anime dei sopravvissuti. Caterina, protagonista e io narrante di questo romanzo, struggente ma aperto alla speranza, deve affrontare, come tanti, il trauma del presente e le ferite del passato. La sua storia, quella della madre anziana strappata alle sue rassicuranti abitudini e quella del nipote, raccontano la perdita, il lutto sullo sfondo di una città che è sempre lì a ricordare e testimoniare la devastazione.
Come si possono ricomporre i cocci di una vita quando la terra trema e rimescola luoghi, prospettive, relazioni?
Nella nuova casa, situata nei Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili (C.A.S.E.), che «puzza di nuovo», deve provare a reinventare la sua vita. Marco, suo nipote, figlio della sua gemella Olivia morta la notte del sisma, è venuto a stare con lei, fuggendo da un padre a cui rimprovera molte cose; è «alto, secco, un corpo di linee spezzate e mai curve, con una fioritura di brufoli», rabbioso adolescente rinchiuso nel «suo recinto di capelli».
«Schiacciato dal peso di un lutto devastante» (Donatella Di Pietrantonio, «Rai Letteratura», link), il ragazzo rifiuta la realtà con atti violenti, non perdona il padre che non c'era quella notte, non perdona gli ingegneri che hanno permesso che la sua casa crollasse. Caterina deve affrontare questo adolescente disperato, «una donna che aveva rinunciato all’esperienza della maternità, che non se ne sentiva capace» (Donatella Di Pietrantonio). Era sempre vissuta all'ombra di Olivia ma, pur amandola, si vedeva come «la sua brutta copia»; era lei che «aveva i poteri», era lei che stregava uomini e animali. Con i ricordi che mordono «con denti da iena» deve accettare la sfida, convivere con le macerie fisiche della città, tentare per sé e per il nipote una possibile rinascita.
Bella mia, titolo ispirato a una canzone abruzzese dedicata alla città dell’Aquila, è un romanzo che parla con straordinaria forza poetica dell’amore e di ciò che proviamo nel perderlo. Ma soprattutto della speranza e della ricostruzione: la ricostruzione di una città squassata dal sisma e la ricostruzione ancora più faticosa della fiducia nella vita.
Un caso internazionale: in via di traduzione in sette paesi, ancora prima della sua uscita in Italia.
Il romanzo, nelle parole di Stefano Massini (Lehman Trilogy) «è un trattato sul rischio dell'amore, e specularmente sull'amore per il rischio». L'autrice ha lavorato per anni a Londra in una banca d'affari e mette al centro del romanzo proprio l'ambiente della finanza, un mondo dominato dal caos, dalla tensione. È la stessa Pezzali, nell'intervista a Repubblica.it, a sottolineare come «la vita vera rappresentata nel romanzo esce dalla rappresentazione classica cinematografica della finanza e va un po' dietro le quinte»: non ci sono solo persone che corrono e si agitano osservando numeri volubili, ma anche tanta mediocrità.
Giulia, la protagonista di Lealtà, lavora a Londra in una banca d'affari. È un luogo fondato su regole quasi religiose dove lei si muove lontana dalla felicità ma non a disagio tra molto denaro, pochissimo tempo libero e rapporti che, fatta eccezione per il sesso, mirano soprattutto al mantenimento della reputazione.
Nello stesso ambiente conduceva la propria esistenza anche Michele, verso cui al tempo dell'università, a Milano, lei aveva sviluppato un'ossessione sentimentale ed erotica. In una mattina speciale per il mercato, il brillante capo di Giulia fa il nome di Michele e lei si trova a ripercorrere una vicenda che credeva sepolta, ad indagare la dimensione emotiva del dolore e dell'amore, la loro origine genetica.
La loro vicenda d'amore nasce come una guerra persa in partenza: c'è un'attrazione fisica potente contrastata però da un contesto ostile. Oltretutto Michele è sposato, e ha una figlia. Giulia arriva a mandargli fino a sessanta messaggi al giorno, lui la allontana per poi riprenderla in un balletto fra alti e bassi degno dei deliri di Wall Street.
«Ogni libro contiene in fondo una domanda, io credo che in questo caso essa abbia a che fare con la doppia (e simultanea) faccia dell'amore, potentissimo e fragile, simile al numero di un equilibrista: negare il baratro sotto i suoi piedi equivale ad azzerarne la poesia» (Stefano Massini, «Robinson - la Repubblica»).
Il morso della reclusa di Fred Vargas segna il ritorno dell'amato commissario Adamsberg, il nebbioso, beccheggiante, indolente capo dell'Anticrimine al tredicesimo arrondissement parigino che «ha reso la regina del noir francese celebre in tutto il mondo» (Fabio Gambaro, «la Repubblica»).
In questo nuovo capitolo c’è una «storia affascinante e complicata a base di ragni, incidenti misteriosi, storie passate e crimini contemporanei che mette a dura prova l’intuitivo commissario» (Fabio Gambaro, «la Repubblica»). Adamsberg, in vacanza in Islanda, è costretto a tornare per seguire le indagini su un omicidio. Il caso è ben presto risolto, ma la sua attenzione viene attirata da quella che sembra una serie di sfortunati incidenti: tre anziani che, nel Sud della Francia, sono stati uccisi da una particolare specie di ragno velenoso, comunemente detto reclusa.
Per tutti, stampa, opinione pubblica e studiosi, si tratta di una strana coincidenza o, teoria molto diffusa nel web, di un aumento del numero delle recluse a causa del surriscaldamento terrestre. Per tutti, ma non per il commissario capo che sospetta qualcosa, anche se non riesce a dare un nome a questi «pensieri prima dei pensieri». È convinto che le morti non siano casuali ma deve scontrarsi con quasi tutto l’arrondissement: soprattutto con il colto comandante Danglard, ferocemente contrario alle idee del commissario.
Con l’avanzare delle indagini la tensione cresce: si creano due schieramenti, «la squadra di Adamsberg non è certo una comunità idilliaca dove tutto funziona a meraviglia. Come in ogni gruppo, non mancano i conflitti e le contraddizioni. Esattamente come accade nella vita, ma in maniera deformata» (Fred Vargas, intervistata da Fabio Gambaro, «la Repubblica»).
Scavando in profondità emergono episodi di violenze subite da molte donne nella zona di Nîmes, e questi eventi diventeranno centrali ne Il morso della reclusa. È la stessa autrice ad ammettere che «all’inizio non è che avessi in testa di scrivere un romanzo sulla violenza contro le donne, ma poi il libro ha preso questa direzione per tutta una serie di motivi che il lettore scoprirà leggendo» (Fred Vargas, intervistata da Fabio Gambaro, «la Repubblica»).
Mettere insieme i vari tasselli di questo complicato caso, e ricompattare la squadra, non sarà facile ma Adamsberg sa che è necessario. Ecco allora che escono con forza gli altri personaggi del libro, i colleghi, i loro problemi e le loro intuizioni: «Non credo che sia possibile risolvere i problemi da soli, credo alla forza del gruppo. Per questo cerco di dare sempre più spazio a quelli che all’inizio erano secondari».
Il risultato è un noir avvincente, particolare dove, oltre all’intrigo criminale «contano l’atmosfera, le divagazioni e i personaggi. Vorrei che alla fine del libro il lettore si sentisse un po’ meglio di quando ha iniziato a leggere» (Fred Vargas, intervistata da Fabio Gambaro, «la Repubblica»).
Il commissario Adamsberg ha reso la regina del noir francese celebre in tutto il mondo Fabio Gambaro, «la Repubblica»
Un affascinante concentrato di poesia e fantasia, un piccolo incantesimo che conquista il lettore trascinandolo in un mondo straniante e sospeso Claire Devarrieux , «Libération»
Hotel Silence è il nuovo romanzo di Auður Ava Ólafsdóttir, vincitore dell'Icelandic Literature Prize ed eletto Libro dell'anno 2016 dai librai in Islanda, terra natale della scrittrice.
È la storia di Jónas, uomo di quarantanove anni con un talento speciale per riparare le cose. La sua vita però non è facile da sistemare: la madre oramai vive in un ospizio e soffre di demenza, ha appena divorziato e l’ex moglie gli confessa che la loro amatissima figlia in realtà non è sua. Tutte e tre le donne si chiamano Guðrún.
La vita di Jónas ruotava intorno a queste tre figure, «io faccio quello che le tre Guðrún della mia vita mi chiedono di fare», e ora la sua esistenza sembra aver perso di senso. Non si riconosce più davanti lo specchio: «Mi sento i muscoli della parte superiore del braccio, e mi sento gli addominali, ma non saprei dire se io sono quello oppure l’altro. Da questa parte ci sono io e dall’altra il mio corpo. Entrambi estranei allo stesso modo». E sceglie di farla finita.
Jónas non vuole lasciare a nessuno l’imbarazzo di disporre del suo cadavere, soprattutto a sua figlia, e decide di partire per un paese straniero (di cui la scrittrice non svelerà il nome), appena uscito da una sanguinosa e tragica guerra civile, con un solo cambio di vestiti e una cassetta per gli attrezzi – portata per mettere in atto il suicidio.
L’uomo alloggerà all’Hotel Silence, gestito da due fratelli, ancora in piedi ma bisognoso di molte riparazioni. L'incontro con le persone del posto e le loro ferite, in particolare con i due giovanissimi gestori dell'albergo, fa slittare il suo progetto giorno dopo giorno... La sua buona manualità diventa fondamentale per la comunità. «Lirico e rassicurante (come la vita ogni tanto) è l’avanzare del romanzo, che mette a monte le asperità per lasciarsi ingentilire da incontri e accadimenti» (Tiziana Lo Porto, «D – la Repubblica»).
La Ólafsdóttir è stata capace di scrivere «un affascinante concentrato di poesia e fantasia, un piccolo incantesimo che conquista il lettore trascinandolo in un mondo straniante e sospeso» che, nonostante il continuo confronto fra la vita e la morte, fra la felicità e il dolore, è «pieno di grazia e umorismo» (Claire Devarrieux, «Libération»).
La crisi di Jónas è profonda, a tratti destabilizzante, ma Hotel Silence è anche «un affascinante romanzo sulle seconde possibilità e sui viaggi fatidici, pieno di tranquillità e speranza» («Publishers Weekly»), capace di alternare momenti struggenti ad altri pieni di spirito e tenerezza.
Con una prosa surreale, quasi kafkiana, la favolosa storia di Ólafsdóttir riguarda il risveglio inaspettato di un uomo. Una storia di trasformazione avvincente e sorprendente, raccontata in forma quasi allegorica Kirkus