Giulio Einaudi editore

Amleto

Nella traduzione di Cesare Garboli
Amleto
Nella traduzione di Cesare Garboli
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Nel 1989, su richiesta di Carlo Cecchi, Garboli tradusse Amleto, che andò in scena nel giugno di quell'anno e in successivi allestimenti. Mentre il testo subiva progressive modifiche in vista della pubblicazione, la fama dell'«Amleto di Garboli» ha continuato a crescere negli anni, fino a diventare una traduzione leggendaria. Oggi questo Amleto, conosciuto finora solo dagli attori e dagli spettatori, viene pubblicato per la prima volta diventando patrimonio di tutti.

2009
Letture Einaudi
pp. XVIII - 228
€ 18,00
ISBN 9788806193935
Traduzione di

Il libro

Nel 1989, su richiesta di Carlo Cecchi, Garboli tradusse Amleto, che andò in scena nel giugno di quell’anno e in successivi allestimenti. Garboli tornò poi a dedicarsi al capolavoro shakespeariano, affrontando la questione complessa della trasmissione del testo di Hamlet e delle divergenze tra le varie edizioni a stampa, di cui non aveva tenuto conto nella prima, pur felicissima, versione. Mentre il testo subiva progressive modifiche in vista della pubblicazione, la fama dell’«Amleto di Garboli» ha continuato a crescere negli anni, fino a diventare una traduzione leggendaria. Oggi questo Amleto, conosciuto finora solo dagli attori e dagli spettatori, viene pubblicato per la prima volta diventando patrimonio di tutti.

«Era come se qualcuno traducesse l’Amleto dentro di me. Ho provato un senso di vertigine, non mi era mai successo prima».

Cesare Garboli

«La traduzione che Garboli mi leggeva – poi quella che gli attori ed io leggevamo durante le prove – era qualche cosa di straordinario, un Amleto che non avevo mai sentito nella mia lingua, immediatamente comprensibile ma alto di tono, dove gli endecasillabi restituivano senza alcuno sforzo il respiro e il ritmo della lingua italiana, dove i giochi di parole che riempiono le parti in prosa erano finalmente risolti in maniera immediata ed efficace, e non spediti a pie’ di pagina con la fastidiosissima nota “gioco di parole intraducibile”».

Dalla premessa di Carlo Cecchi

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